La prima vittoria per l’anarchico Alfredo Cospito, ancora detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Milano Opera dopo un lungo sciopero della fame, è arrivata grazie alla Corta costituzionale.
La Consuta, infatti, ha accolto la questione sollevata dalla sua difesa e dichiarato costituzionalmente illegittima la norma del codice penale «nella parte in cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva, nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell’ergastolo». 

La questione ha riguardato la quantificazione della pena di Cospito, dopo che la Cassazione lo ha condannato per strage politica per l’attentato del 2006 con due bombe artigianali, esplose davanti alla scuola dei carabinieri di Fossano senza provocare morti.

Il reato, infatti, prevede la pena dell’ergastolo e, siccome Cospito è recidivo, i giudici non potevano applicargli alcuna attenuante. Incostituzionale, secondo la sua difesa, perchè in contrasto con il principio di proporzionalità. La tesi è stata accolta dai giudici costituzionali, secondo cui «il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti», valutando «caso per caso» se applicare l’ergastolo o «laddove reputi prevalenti le attenuanti, una diversa pena detentiva». Così Cospito può sperare di non venire condannato all’ergastolo, ma tra i 21 e i 24 anni di carcere.

Il reato di strage politica

La questione su cui la Consulta si è espressa ruota intorno alla decisione della Cassazione di modificare il titolo di reato per cui Cospito è stato condannato.

Nell’ordinamento penale, infatti, esistono due varianti della strage. La prima è quella di un reato di pericolo comune, previsto all’articolo 422 del codice penale, che condanna a una pena non inferiore al 15 anni e all’ergastolo solo nel caso di morte, chi «al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità». L’altra, invece, è quella di delitto contro la personalità dello stato, previsto all’articolo 285, che punisce con l’ergastolo chi commette un fatto diretto a provocare una strage «allo scopo di attentare alla sicurezza dello stato», senza prevedere una pena inferiore se non ci sono stati morti.

Il reato di strage politica, infatti, è uno dei residui del codice Rocco scritto durante il fascismo e prevede la pena più grave perché il reato mette in pericolo lo stato. Dalla nascita della Repubblica, il reato di strage politica non è stato praticamente mai utilizzato: anche nel caso di una delle stragi più gravi della storia italiana, quella alla stazione di Bologna del 1980, il terrorista nero Gilberto Cavallini è stato condannato per strage comune.

Inizialmente anche Cospito era stato condannato per strage comune, poi la Cassazione ha riqualificato il reato come strage “politica” e ha rinviato alla corte d’assise d’appello di Torino per la rideterminazione della pena, con richiesta di ergastolo avanzato dalla procura generale. «Il mio assistito ha visto transitare la pena da 15 anni alla pena fissa dell’ergastolo», ha detto l’avvocato di Cospito, Flavio Rossi Albertini.

La recidiva

La Corte costituzionale, tuttavia, non era chiamata a valutare la costituzionalità del reato, bensì il bilanciamento tra l’attenuante della lieve entità del fatto e l’aggravante della recidiva. L’ergastolo previsto dal reato di strage politica, infatti, può essere ridotto solo nel caso in cui vengano riconosciute le attenuanti. Per Cospito, i giudici hanno valutato che potrebbe sussistere quella della «non grave efficacia lesiva della condotta criminale», visto che le bombe non hanno provocato morti. Tuttavia contro l’anarchico c’è un ostacolo insormontabile: è stato dichiarato recidivo reiterato, perché in passato è già stato condannato per reati della stessa natura, e questo impedisce lo sconto di pena.

Di conseguenza, la corte d’assise d’appello non avrebbe potuto che condannare Cospito all’ergastolo. Vista la natura terroristica del reato, ciò comporterebbe anche il regime dell’ostatività e quindi il cosiddetto “fine pena mai”. Di qui il dilemma dei giudici: condannare Cospito a morire in cella per una strage che non ha provocato morti, a causa dell’impossibilità di gradare la pena.

Il contrasto

La Consulta ha accolto la posizione della difesa, secondo cui una pena senza possibilità di gradazione legata all’entità del fatto commesso è incostituzionale, perché in contrasto con il principio di proporzionalità previsto dall’articolo 27 della Costituzione.

Bocciata invece la linea dell’avvocatura dello Stato, secondo cui la strage politica viene attenuata «se non causa morti» perchè ha come obiettivo l’attentato alla democrazia ed è un cosiddetto reato “di pericolo”, perché non è necessario che produca un effetto concreto. «Se si procedesse su questa via si aprirebbe una breccia per tutti i reati di pericolo, con conseguenze su altri reati gravi come l’associazione mafiosa», è stata la tesi non condivisa da via della Consulta.

Intanto, Cospito continua a essere detenuto a Milano in regime di 41 bis e le sue condizioni di salute sono critiche. «Ha perso oltre 50 chili, non riesce a camminare», ha detto l’avvocato Rossi Albertini, spiegando che mangia solo brodo vegetale e «non si alimenta con pasta, carne e pesce da quasi 180 giorni». Lo sciopero prolungato, infatti, ha avuto effetti sul suo sistema nervoso periferico che rischiano di essere permanenti.

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