La scadenza dell’attuale Consiglio superiore della magistratura è vicina, ma il fronte delle riforme del sistema elettorale, sebbene registri fibrillazioni tra le correnti della magistratura, ancora attende degli sviluppi. Tutto fa presagire un’improvvisa accelerazione mediante l’uso della fiducia, che non consentirebbe alcun approfondimento e impedirebbe il dibattito parlamentare.

La scelta dei sistemi elettorali è materia ostica, intrisa di tecnicismo, in cui il diavolo si nasconde nei dettagli. Ma è una scelta ineludibile, perché è obiettivamente fallita la precedente riforma, varata nel 2002 dal ministro Castelli, che mirava a estromettere le correnti della magistratura dal Csm ma che, invece, gliene ha consegnato definitivamente le chiavi.

Il gruppo di Magistratura indipendente, a differenza di altri, crede che l’associazionismo giudiziario debba recuperare la sua originaria vocazione sindacale, che comporta necessariamente una più efficace separazione tra Anm e Csm, perché l’associazione deve fungere da contraltare all’autogoverno, per stimolarlo e anche criticarlo, all’occorrenza.

Il Csm persegue il fine istituzionale di tutelare l’indipendenza della magistratura, ma deve riacquistare la sua funzione originaria di organo di garanzia e non di governo.

Ecco perché riteniamo del tutto inadeguato qualsiasi sistema elettorale che divida gli elettori in una maggioranza e una minoranza precostituite, come blocchi contrapposti e stabili, e siamo fortemente contrari a un Csm che agisca e ragioni come un piccolo parlamento. Il sistema elettorale del Csm, dunque, deve essere fatto in modo da rendere impraticabili accordi preventivi fra le correnti.

No al disegno Luciani

Queste riflessioni ci hanno condotto a ritenere inadatto allo scopo il disegno elaborato dalla commissione presieduta dal professor Luciani, che, invece di ridurre il peso delle correnti, rischia solo di escluderne alcune, aumentando l’influenza di altre.

Il sistema del voto singolo trasferibile prevede che il candidato più votato trasferisca il suo surplus di voti sui candidati che sono indicati nella sua stessa scheda elettorale come seconde e terze preferenze: l’elettore non esprime una scelta secca, ma ordina le preferenze secondo una graduatoria, da utilizzare per assegnare i seggi qualora – come spesso accadrà – non è possibile attribuire tutti i seggi sulla base dei primi voti. Ma il trasferimento dei voti viene operato dall’alto, ossia a partire dai candidati più votati, e questo si presta a favorire accordi preventivi, mediante uno scambio reciproco tra candidati delle seconde e terze preferenze.

Se applicato a un piccolo numero di elettori (i magistrati sono circa 9.700, e potrebbero essere suddivisi in collegi più piccoli), questo sistema si presta chiaramente alla elaborazione di “mini liste” che potrebbero essere prima pianificate dalle correnti e poi anche verificate ex post, con buona pace della segretezza del voto.

Ecco perché il voto singolo trasferibile, seppur ideato con le migliori intenzioni, agevola patologiche aggregazioni di interessi, consente accordi che potrebbero distorcere il voto ed escludere dal Csm la pluralità di idee, e rischia un disallineamento importante tra la composizione dell’organo di autogoverno e gli effettivi equilibri delle sensibilità culturali interne alla magistratura.

Secondo noi la riforma del sistema elettorale del Csm, per non sbagliare mira, deve partire dall’analisi dei difetti di quello attuale, che sono ormai ben conosciuti.

L’attuale sistema ha fallito perché chiede ai candidati di proporsi su tutto il territorio nazionale, e ha reso indispensabile l’aiuto di organizzazioni ampie: da qui il monopolio di fatto delle campagne elettorali alle correnti.

Correttivi

Il primo, indispensabile, correttivo dovrebbe essere, quindi, accorciare la distanza tra l’elettore e l’eletto, con collegi elettorali che non siano né troppo grandi, per non richiedere un eccessivo sforzo organizzativo, ma nemmeno troppo piccoli, per evitare forme di condizionamento locale, individuati dalla legge in modo oggettivo e predeterminato, per escludere aggregazioni territoriali di comodo.

Riteniamo assolutamente da evitare la previsione di collegi binominali, con obbligo di preferenza di genere, che si presterebbero ancora meglio ad accordi tra i maggiori gruppi e taglierebbero del tutto fuori le minoranze dal Csm, nonché il ballottaggio, che è perfetto per accordi di desistenza.

Il secondo, fondamentale, correttivo è garantire un numero minimo ampio di candidature, con adeguata rappresentanza di genere.

Per stimolare le candidature si potrebbero prevedere specifiche agevolazioni, che consentano agli indipendenti di avere le risorse, personali e materiali, per potersi proporre agli elettori, senza necessariamente doversi avvalere del sostegno di gruppi associativi. Se anche questo non fosse sufficiente a raggiungere il numero minimo, potrebbe anche essere valutata la previsione del sorteggio, come strumento residuale e di ultima istanza.

Escludiamo il pericolo di candidati “di paglia”, contrapposti a quelli “forti” delle correnti, perché con una minore distanza tra elettore ed eletto, un effettivo supporto logistico ai candidati indipendenti e una maggiore libertà di espressione del voto senza paura di condizionamenti o controlli, tutti i candidati avrebbero certamente maggiori chances di quante non ne potrebbero avere con un sistema che si presta ad accordi fra correnti.

Ecco perché abbiamo proposto un sistema maggioritario a turno singolo, con collegi medi plurinominali, con preferenza unica.

Occorre andare oltre la superficie, riflettere in profondità, individuare le cause profonde dei problemi attuali, e i primi a doverlo fare sono proprio le correnti, chiamate a fare un passo indietro, in mancanza del quale si rischia di compromettere la credibilità e l’indipendenza della magistratura italiana, e il conto più salato di questo disastro, purtroppo, lo pagheranno i cittadini, che non potranno più fare affidamento su chi è chiamato a tutelare i loro diritti.

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