Care lettrici, cari lettori

confidando che questo 2023 sia cominciato nel migliore dei modi, riprendiamo il nostro consueto aggiornamento con le notizie e gli approfondimenti sulla giustizia.

Questo inizio d’anno è caratterizzato dall’entrata in vigore della riforma penale, che già sta suscitando qualche problema tecnico, e con i preparativi per l’entrata in vigore della riforma civile.

Intanto, si sta avvicinando la data di elezione dei laici al Csm e il clima si fa sempre più teso. Per il Cnf, invece, potrebbe aprirsi una stagione di ricorsi.

L’ex magistrato di Cassazione, Rosario Russo, torna invece ad occuparsi della trasparenza interna all’Anm, in particolare rispetto alle mancate notizie sulle ragioni delle archiviazioni dei procedimenti agli iscritti, alla luce del caso Palamara. Il dibattito è aperto e lo spazio è a disposizione di chi voglia rispondere.

L’avvertimento della Corte dei conti

La Corte dei conti ha presentato la relazione sui risultati ottenuti dal processo civile telematico nel quinquennio 2016-2020 e dà indicazioni precise: il processo telematico non riduce i tempi dei processi, mentre sono più utili in questo senso le risoluzioni extragiudiziali delle controversie. Ovvero le cosiddette adr.

«Il rispetto del noto principio della ragionevole durata dei processi appare ottenibile solo in parte con la digitalizzazione dei processi», si legge nella relazione, in cui si aggiunge che il risultato acceleratorio chiesto dall’Ue è «più concretamente perseguibile soprattutto mediante l'introduzione di adeguate procedure deflattive in termini di risoluzione extragiudiziale delle controversie».

La Corte dei conti fornisce anche un ventaglio di ragioni sul perchè la telematizzazione non abbia raggiunto il risultato sperato: legislazione di riferimento «poco organica» e arretratezza endemica degli uffici dal punto di vista digitale.

Tuttavia, la corte riconosce che ormai il processo telematico è una realtà nel settore civile, mentre deve ancora arrivare a compimento nel penale.

Al 31 dicembre 2020, gli atti telematici depositati sono stati oltre 56 milioni, oltre 34 milioni i provvedimenti nativi digitali, 125 milioni le comunicazioni e notifiche telematiche.

Inoltre, è in corso - grazie all’investimento di 133 milioni di euro del Pnrr – la digitalizzazione dei fascicoli cartacei, con l’obiettivo di farlo per tutti i 10 milioni di fascicoli dal 2016 in poi.

Punire chi pubblica gli atti

Oltre alla volontà del ministro di intervenire sulle intercettazioni e soprattutto sulla loro pubblicazione illegale attraverso fughe di notizie, il centrodestra punta a introdurre anche una nuova fattispecie di reato.

Annarita Patriarca e Tommaso Antonio Calderone, deputati di Forza Italia e componenti della commissione Giustizia hanno depositato una proposta di legge «che introduce una fattispecie tipica di reato, punibile da due a cinque anni e quindi, una volta approvata la norma, nessuno potrà più pubblicare con leggerezza atti di indagine fino all'udienza preliminare, cosi come prescritto. Il mostro non andrà più sbattuto in prima pagina a fronte di una semplice contravvenzione».

Attualmente, il codice di procedura penale fa divieto di pubblicazione degli atti in forma integrale fino all’udienza preliminare, ma la violazione prevede una contravvenzione che, secondo FI, non è un deterrente sufficiente. Per questo il disegno di legge punisce non solo la pubblicazione integrale, ma anche quella a stralcio.

I semiliberi

Dopo la protesta, con la staffetta di sciopero della fame dei garanti delle persone private della libertà, il ministero della Giustizia è intervenuto sulla questione dei semiliberi.

I garanti, infatti, avevano chiesto attenzione sul fatto che, senza una proroga espressa, qualche centinaio di semiliberi da due anni e mezzo avrebbe dovuto rientrare la notte in carcere. Questi condannati, infatti, hanno goduto di un regime particolare grazie alle norme anti-covid, secondo le quali potevano rimanere a dormire fuori dal carcere dopo il lavoro diurno, per non rischiare di portare in cella il virus.

Il ministero della Giustizia ha ritenuto di non concedere la proroga a questa misura, che è scaduta il 31 dicembre.

Il sottosegretario, Andrea Ostellari, ha spiegato le ragioni: «Superata la pandemia da coronavirus, la misura emergenziale che aveva concesso ad alcuni detenuti di scontare la pena al di fuori delle carceri non è stata prolungata. Si tratta di circa 190 soggetti semiliberi che, avendo dimostrato una buona condotta, potranno usufruire dei benefici previsti dalla loro condizione. Sarà, quindi, la magistratura di sorveglianza a decidere, caso per caso, in base alla pena ancora da scontare e al ricorrere dei presupposti previsti dall'ordinamento. Le garanzie e i diritti restano uguali per tutti e si ritorna alla condizione di normalità».

I laici al Csm e le donne

Si avvicina la data del parlamento in seduta comune per eleggere i laici del Csm, fissata per il 17 gennaio. La procedura di trasparenza prevede che le candidature rimangano aperte fino al 9 gennaio, con una proroga nel caso in cui i candidati del genere meno rappresentato non siano il 40 per cento e con un giorno ulteriore solo per le candidature avanzate da almeno 10 parlamentari di due gruppi diversi.

Attualmente il numero di candidati è di 136, consultabili a questo link, dove si leggono nomi di avvocati noti e meno noti e di professori universitari.

Il numero delle donne, tuttavia, è molto ridotto: nemmeno quaranta. Per questo i termini per loro rimarranno quasi certamente aperti fino al 16 gennaio. Anche se il voto non verrà rimandato, anche se la quota del 40 per cento di candidate non verrà raggiunto.

Non esistono poi vincoli di genere per il voto: i 10 laici, infatti, potranno essere anche tutti uomini (come lo sono gli 8 uscenti).

Le quote dovrebbero essere: 3 eletti da FdI, 2 Lega, 2 FI e tre alle opposizioni (Pd, M5S e terzo polo). Vedremo se sarà così, ma soprattutto se i candidati sostenuti dai partiti si nascondono tra gli autocandidati o se i gruppi presenteranno i loro nomi.

La provocazione 

Sul tema della nomina dei laici, è intervenuto sul Messaggero Angelo Ciancarella, giornalista ed ex portavoce dell'ex ministro Giovanni Maria Flick.

Il nuovo regolamento di trasparenza introdotto come principio dalla riforma Cartabia ma applicato secondo regole fissate dalla presidenza della Camera prevede l’autocandidatura ma non la presentazione del curriculum. Dunque, il voto dei laici da parte dei parlamentari non prevede nè audizioni nè valutazioni di merito, rendendo la scelta molto legata alla politica.
Per questo, Ciancarella ha invitato i più insigni avvocati e giuristi ad avanzare la loro candidatura. 

«Non succederà mai, ma se ad esempio Giuliano Amato, ex presidente della Corte Costituzionale, dovesse presentare la domanda sarebbe difficile per il Parlamento non votarlo: dieci, venti, trenta personalità di questo spessore renderebbero per i partiti difficile designare figure mediocri o sconosciute, oppure conosciute solo per essere state dei parlamentari», scrive Ciancarella. Se succedesse, sarebbe positivo sia per la qualità dei laici e quindi di tutto il Csm, ma anche ad allontanare sospetti di ingerenze politiche nell’organo di governo autonomo.

I ricorsi al Cnf

Terminato il voto in tutti i distretti di corte d’appello per scegliere i nuovi consiglieri nazionali del Cnf (qui l’elenco, a metà della scorsa newsletter), si potrebbe aprire la stagione dei ricorsi.

A Napoli, distretto che per ultimo ha votato prolungando le operazioni fino al 30 dicembre, ci sono due candidate che al pari rivendicano l’elezione. A dirimere la vicenda dovrà essere la commissione ministeriale a cui vengono inviati i risultati delle elezioni nei vari distretti. Prevarrà la candidata con maggiore anzianità di iscrizione all’albo ordinario o con maggiore anzianità all’albo cassazionisti: secondo il giudizio della commissione. Nel distretto di Napoli si pone anche la questione del mancato voto del consiglio dell’ordine di Napoli Nord, in quanto commissariato.

Di un altro ricorso già è notizia nota: quello del consigliere uscente Giuseppe Sacco, che chiede l'annullamento delle elezioni del Cnf che si sono appena svolte, sulla base dell’argomento che si sarebbero dovute indire in marzo 2023, quale data di effettiva scadenza della consiliatura (quindi con il voto dei nuovi consigli degli ordini).

Il Tar del Lazio ha disposto con decreto che il Cnf nella nuova costituzione non possa essere convocato prima della camera di consiglio del 10 gennaio, in cui i giudici amministrativi decideranno nel merito.

Nel ricorso, si sono costituiti i coa di Roma, Venezia, Brindisi e Lagonegro.

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