Natale, come lo sono tutte le festività, è il momento peggiore per i detenuti. Nonostante i volontari si affannino in ogni carcere per portare un minimo di conforto, con qualche evento di socialità organizzato, chi vive la condizione detentiva la lontananza dalle famiglie o l’abbandono si sente ancora più forte.

Messi alle spalle gli anni del Covid, in cui gli accessi erano contingentati, ora le attività sono riprese ma la realtà carceraria non è cambiata, anzi i penitenziari italiani sono quasi al collasso a causa del sovraffollamento.

I numeri

L’associazione Antigone, infatti, ha fornito gli ultimi dati sullo stato delle carceri e le condizioni stanno peggiorando di mese in mese, con i detenuti che superano le 60mila unità per 48mila posti standard disponibili e un sovraffollamento medio del 125 per cento, ma con picchi molto più alti in particolare in Lombardia e Lazio.

«Era da prima della pandemia di Covid-19 che ciò non accadeva», sottolinea in una nota Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. A preoccupare, però, è soprattutto il tasso di crescita: «Nell'ultimo anno è stato del 7 per cento con un'impennata specialmente negli ultimi tre mesi. Se la popolazione detenuta dovesse continuare a crescere con questo ritmo, tra un anno saremo oltre le 67.000 presenze», spiega Gonella. Un aumento record di 400 persone al mese.

Con il rischio che l’aumento dei detenuti proceda a un ritmo anche più sostenuto, visto l’aumento delle pene e la previsione di nuovi reati introdotte dal governo Meloni nel corso degli ultimi mesi, a partire dal decreto Caivano e con le recenti iniziative di prevedere il carcere anche per le donne incinte e madri, contenute nel pacchetto Sicurezza.

L’ultima volta in cui l’Italia arrivò a questo numero di presenze, subì una pesantissima condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2013 con la ormai nota sentenza Torreggiani. 

Per capire il livello di allarme, l’ultimo indulto e amnistia risalgono al 2006 e venne giustificato proprio per il sovraffollamento nelle carceri, che all’epoca sfiorava le 62mila presenze, appena 2mila più di oggi.

Non solo, però. Anche i numeri dei suicidi continuano ad essere molto alti: il totale del 2023 è di 66 persone che si sono tolte la vita in carcere, il terzo dato più alto mai registrato dal 1992. In media, nelle carceri italiane si suicida una persona ogni 5 giorni.

Il ministro

In questi giorni di festa, il ministro della Giustizia Carlo Nordio – da sempre sensibile al tema del carcere e su posizioni personali molto diverse rispetto al governo – ha partecipato alla messa del 24 dicembre nel penitenziario della sua città, Treviso.

Durante un breve discorso, ha parlato della necessità di «potenziare le occasioni di lavoro per i detenuti» e la necessità di investire «sul reinserimento. Durante la detenzione imparare un mestiere è importante, ma lo è anche che una persona, una volta uscita dal carcere, trovi le porte aperte».

In questa direzione va anche l’accordo tra ministero della Giustizia e Cnel, che favorirà la formazione e il lavoro per i detenuti, con l'obiettivo di abbattere l'elevato tasso di recidiva dovuto alla mancanza di occasioni di reale reinserimento nella parte sana della società.

L’accordo prevede che il ministero snellisca gli adempimenti per le imprese e le società del terzo settore che intendano assumere e formare i detenuti, semplificando anche la concessione di agevolazioni, incentivi e sconti fiscali, mentre il Cnel coinvolge i corpi intermedi con l'obiettivo di fare da ponte tra il carcere e il lavoro, fornisce supporto con i suoi esperti, implementa la formazione dei detenuti in carcere, promuove la copertura degli istituti penitenziari rispetto all'offerta di corsi universitari.

«La rieducazione è il più efficace strumento di politica criminale a disposizione dei governi», hanno scritto Nordio e il presidente del Cnel, Renato Brunetta.

Parole positive che dimostrano l’attitudine del ministro a tentare di incidere su un settore in enorme difficoltà, ma che per ora non hanno avuto particolari riscontri pratici se non nell’aumento del numero dei detenuti.

Nessuna novità concreta, invece, arriva dall’iniziativa a cui il guardasigilli ha più volte fatto riferimento di individuare caserme dismesse per renderle luoghi di detenzione, soprattutto per i detenuti a bassa pericolosità.

Il garante dei detenuti

In questo contesto, rischia di appannarsi anche la figura determinante che è il Garante per i diritti delle persone private della libertà. Il mandato dell’attuale garante, Mauro Palma, è scaduto ma lui sta continuando ad adempiere al suo ruolo nonostante il suo successore sia già stato individuato e manchino solo alcuni passaggi istituzionali di nomina.

Il 21 dicembre il Quirinale ha firmato il decreto di nomina di Felice D’Ettore, nuovo garante individuato in quota maggioranza, la cui scelta ha già sollevato polemiche e che, secondo fonti interne, sarebbe stata di fatto imposta anche al ministro della Giustizia che per il ruolo aveva pensato alla radicale Rita Bernardini.

Invece, gli equilibri politici hanno avuto la meglio sulla competenza: D’Ettore è un ex parlamentare di Forza Italia poi entrato in Fratelli d’Italia e nel curriculum ha l’incarico di professore di diritto privato. Nessuna esperienza pregressa nel penale o nel settore delle carceri, che è a sua volta una galassia a se di cui è necessario conoscere a fondo le problematiche.

Non a caso, la nomina non è stata lineare: ci sono voluti molti mesi per individuare il nome del garante e la terna (composta da D’Ettore, Mario Serio e Irma Conti, rispettivamente giurista e avvocata ma anche loro senza esperienza nelle carceri), poi si è impedito che i tre venissero auditi nelle commissioni Giustizia del parlamento.

Un no incomprensibile della maggioranza e spiegabile – come hanno commentato molti esponenti delle opposizioni, prima tra tutti Ilaria Cucchi – solo con il fatto che non si volesse rischiare di sottoporli alla brutta figura del non sapere rispondere ai quesiti.

Per la loro nomina mancano le firme del ministero della Giustizia e l’ultima bollinatura della Corte dei conti, infine la nomina sarà formalizzata da palazzo Chigi.

In altre parole, un garante senza alcuna esperienza nell’ambito della tutela dei diritti delle persone private della libertà entrerà in carica proprio nel momento in cui le carceri sono una bomba a orologeria, con numeri record che continuano a crescere insieme – inevitabilmente – ai disagi per chi si trova nelle carceri a scontare la pena ma anche per chi nel carcere lavora nella polizia penitenziaria. Con il concreto rischio che, in questo modo, proprio in un anno che si preannuncia già caldissimo l’unico presidio per i diritti rischi di essere depotenziato.



 

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