Riscritta, cancellata e ricorretta cinque volte in diciotto anni: la prescrizione è considerata la panacea contro tutti i mali in materia di giustizia. Così, anche il governo Meloni ha deciso di rimetterci mano, riscrivendola completamente a meno di due anni dalla riforma penale approvata dalla guardasigilli Marta Cartabia, nell’ottica del rispetto degli obiettivi imposti dall’Unione europea con il Pnrr.

Il testo di cui ieri si è conclusa la discussione generale alla Camera ed è passato in commissione Giustizia con un emendamento governativo prodotto dagli uffici del ministro Carlo Nordio ha come punto centrale il cancellamento di quello che è stato definito un «ibrido»: la coesistenza della prescrizione sostanziale fino al primo grado, che poi veniva sostituita per il grado d’appello e di cassazione dalla prescrizione processuale. Ovvero, l’estinzione del secondo e del terzo grado – a prescindere da qualsiasi elemento di merito – nel caso di superamento dei due anni e un anno di durata del procedimento.

Il sottosegretario Andrea Delmastro si è presentato soddisfatto in aula: «Facciamo ritornare la prescrizione sostanziale, agganciata alla gravità del reato e alla pericolosità del reo, archiviando la parentesi “bonafediana” di indagati e imputati a vita e anche la stagione della improcedibilità, che secondo alcuni procuratori avrebbe rottamato 150mila processi in Italia».

La nuova formulazione, infatti, prevede che la prescrizione ritorni ad essere determinata sulla base della pena, con però due sospensioni, «in seguito alla sentenza di condanna di primo grado, per un tempo non superiore a due anni» e poi, «in seguito alla sentenza di appello che conferma la condanna di primo grado, per un tempo non superiore a un anno». Tradotto: al termine di prescrizione che varia a seconda del reato e della pena, si possono aggiungere tre anni in tutto di sospensione.

Curiosamente, il pdl ha avuto di fatto due relatori di sostanzialmente di maggioranza: il meloniano Andrea Pellicini per il centrodestra, insieme ad Enrico Costa di Azione, favorevole anche lui alla modifica. «Negli anni, motivi di opportunità politica e maggioranze composite hanno impedito di lavorare ad un ritorno alla prescrizione sostanziale in tutti i gradi di giudizio. Ora, quel tempo è arrivato», ha detto chiedendo di aprirsi in senso favorevole anche alle altre forze di opposizione.

Tutte le divisioni

Per ora, la grande confusione regna soprattutto tra le opposizioni, infatti. Nessun coordinamento ma ognun per sè: Azione e Italia viva favorevoli alla riforma del governo; Alleanza verdi e sinistra ancora divisa, ma il deputato Devis Doris che ha parlato in aula ha detto che si tratta di un «ritorno positivo alla prescrizione sostanziale»; Pd e Cinque stelle invece fermi sulla contrarietà, ma per ragioni molto diverse. Con questa riforma, infatti, viene definitivamente smantellata la riforma Bonafede (che fermava la prescrizione al primo grado) e per i grillini significa «impunità» e un ritorno alla riforma ex Cirielli «che mandò in prescrizione il 25 per cento dei processi».

Il Pd, invece, ragiona in chiave più pragmatica. Di principio non ci sarebbe contrarietà preconcetta sul tema della prescrizione sostanziale, visto anche che una delle cinque riforme passate era stata scritta da Andrea Orlando. Tuttavia la contrarietà riguarda le ragioni e il metodo: «La riforma Cartabia, votata anche da una parte di questa maggioranza, ha imposto alle corti d’Appello di riorganizzare il lavoro e in molte questo è avvenuto con successo, tanto che i dati del disposition time dei processi nel primo semestre del 2023 hanno già raggiunto gli obiettivi del Pnrr previsti per il 2026», spiega la responsabile Giustizia, Debora Serracchiani. «Con questa riforma, l’ennesima a costo zero in materia di giustizia, rischiamo di rimettere in discussione i risultati raggiunti e su cui la maggioranza non ha nemmeno acquisito i numeri del monitoraggio. Invece di rendere la giustizia efficace ed efficiente, viene di nuovo complicato il lavoro degli uffici giudiziari che dovranno riorganizzarsi per l’ennesima volta, mettendo a rischio le scadenze europee».

Anche in maggioranza, però, l’ombrello offerto dal testo di Nordio potrebbe non essere sufficiente. Soprattutto in Forza Italia, infatti, ci sarebbe più di qualche malumore sulla formulazione e potrebbero arrivare emendamenti correttivi. Chiusa la discussione generale, non sono ancora state calendarizzate le prossime sedute e il voto.

Gli effetti

Al netto delle valutazioni politiche, la nuova prescrizione rischia di avere un problema strutturale: il pdl non prevede infatti un regime transitorio rispetto alla vecchia normativa. Questo potrebbe produrre grossi problemi di ricalcolo della prescrizione sui procedimenti già in corso, visto che – sulla base del principio del favor rei – dovrebbe entrare in vigore da subito.

La ministra Cartabia, inoltre, aveva previsto un ufficio di monitoraggio sulla sua riforma penale, proprio per valutarne gli effetti in vista del raggiungimento delle milestones previste dal Pnrr. Secondo i dati del monitoraggio statistico del ministero della Giustizia, la riforma Cartabia sta dando i frutti sperati: la riduzione del tempo dei processi rispetto al 2019 è del 29,7 per cento in tribunale, del 27,1 in Corte d’Appello e del 39,1 in Cassazione.

Tradotto: ad oggi la media nazionale del processo d’appello è di 613 giorni, cioè poco più di venti mesi, dunque è sotto al temine massimo di due anni fissato dalla Cartabia con l’improcedibilità che la maggioranza vuole abrogare.

Il rischio può quindi essere che, tolta la tagliola della prescrizione processuale di Cartabia, che ha imposto di riorganizzare il lavoro nelle corti e di renderlo più efficiente, i tempi possano tornare a dilatarsi. Scucendo così di nuovo la tela di Penelope della giustizia penale e mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi europei di ridurre del 25 per cento la durata dei processi penali.

 

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