Dopo le scintille della settimana scorsa, con il quasi incidente diplomatico con il Quirinale del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli e la relazione sullo stato della giustizia del ministro Carlo Nordio, l’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione si è svolto secondo formalità.

Il momento più solenne, che vede riunite alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella le più alte cariche politiche e istituzionali nel settore giustizia, è stato all’insegna del cauto ottimismo. Sarà un «2024 decisivo», ha detto Nordio, che per l’occasione si è limitato a sottolineare i buoni risultati dei dati sullo smaltimento dell’arretrato e dei tempi delle decisioni senza accennare alle riforme in cantiere, quantomeno divisive dentro la magistratura.

Di questo si è incaricato il presidente del Cnf, Francesco Greco, che ha definito «non più differibile» la separazione delle carriere delle toghe. E’ stata anche la prima inaugurazione della Corte sotto la guida della sua prima presidente donna, Margherita Cassano, che nella sua relazione ha espresso ottimismo sui risultati di efficienza, ma ha anche fatto presente che le riforme in rapida successione rischiano di produrre «pesanti ricadute sul funzionamento della giustizia, attesa la stretta interdipendenza esistente tra regole sostanziali e processuali e modelli organizzativi» e «incertezze interpretative». Un riferimento - ritornato in modo simile anche nella relazione del procuratore generale di Cassazione, Luigi Salvato - tagliato sulla riforma della prescrizione, quinta in sette anni e approvata al Senato senza norme transitorie, con il rischio di mandare nel caos il lavoro delle corti d’appello.

Cassano ha concluso il suo applauditissimo intervento con un passaggio sul sovraffollamento carcerario, gli ancora troppi infortuni sul lavoro e i femminicidi: «Bisogna promuovere l’indipendenza economica delle donne, per favorire la libertà di denuncia». Pinelli, atteso nel suo primo intervento pubblico post conferenza stampa, si è limitato a delineare il nuovo “modello” di magistrato, «i cui comportamenti sono decisivi, dentro e fuori l’esercizio della funzione». Spenti i grandi lampadari dell’aula magna e riposte le toghe bordate d’ermellino, però, la giustizia continua a ribollire.

La fuga di Rizzo

Il clima, secondo fonti ministeriali, è teso soprattutto a via Arenula. A capo del suo Gabinetto, il ministro veneto aveva voluto il presidente del tribunale di Vicenza Alberto Rizzo, stimato tra i colleghi e ben conosciuto dal guardasigilli, ma il suo nome è dato da mesi in uscita. La causa: dissapori al limite dello scontro non con Nordio ma con la sua vice capo di Gabinetto vicario, l’ex deputata di Forza Italia ed ex magistrata Giusi Bartolozzi, che nei mesi si è ritagliata il ruolo di eminenza grigia, ascoltatissima dal ministro.

Rizzo, esasperato, vorrebbe rientrare al più presto in magistratura e lasciarsi alle spalle gli intrighi politici. Se decidesse per lo strappo, potrà sfruttare un emendamento al decreto Asset approvato in ottobre, che ha modificato la riforma Cartabia. La riforma, infatti, ha previsto che i magistrati fuori ruolo, una volta terminato il servizio, non possano assumere funzioni direttive e semidirettive per i successivi quattro anni, a meno che l’incarico non sia durato meno di un anno.

L’emendamento ha allungato la finestra a due anni, col risultato che Rizzo - entrato in servizio il 27 ottobre 2022 – potrà scampare il periodo di cooling off se lascerà a breve l’incarico. Cosa probabile, vista la sua candidatura per la presidenza del tribunale di Firenze, per quello di Modena e la Corte d’appello di Brescia, i cui vertici sono scaduti rispettivamente lo scorso dicembre, ottobre e novembre. Non è raro che i magistrati nei ministeri presentino domande, peculiare è che non le ritirino: secondo fonti del Csm, Rizzo è stato chiamato direttamente dai vertici del Consiglio per capire cosa avrebbe fatto e lui ha confermato che non intende ritirare nessuna candidatura. 

Secondo le toghe locali, starebbe puntando soprattutto sull’incarico a Brescia. Il suo addio aprirebbe un vuoto importante al ministero, ma su quello spazio si stanno già allungando le mire di Bartolozzi, che già nei mesi scorsi aveva tentato di cancellare quel “vice” dal suo titolo. Contro di lei e le sue intemperanze – dentro al governo c’è chi è convinto che sia stata lei a far inciampare Nordio sia sul caso della fuga di Artem Uss che sul caso Cospito – sarebbe arrivato il veto del potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, deciso a suggerire al ministro un profilo più affidabile per stabilizzare l’ufficio. Nella rosa anche il nome di Claudio Galoppi, fresco di nomina a segretario di Magistratura indipendente (lo stesso gruppo di cui faceva parte Mantovano) e consigliere giuridico dell’ex presidente del Senato, Elisabetta Casellati.

Bartolozzi, però, prepara contromosse. Il ministero, infatti, sta lavorando alla riorganizzazione degli uffici e dei cinque dipartimenti che ad oggi hanno una struttura orizzontale. Il nuovo regolamento punta ad accentrare guarda caso nel Gabinetto ministeriale le funzioni di controllo dei dipartimenti - mentre ora ha solo quelle di coordinamento – e di prevedere che il vice capo di gabinetto vicario abbia una attribuzione diretta delle deleghe da parte del ministro, in modo da blindarsi anche rispetto ad influenze esterne. La guerra è aperta e si inasprirà appena Rizzo lascerà l’ufficio.

Altro posto che rischia di aprirsi e per ragioni simili a quelle di Rizzo è quello del capo del Dipartimento per gli affari di giustizia: Luigi Birritteri, nominato lo scorso febbraio, si è candidato all’incarico di segretario generale del Csm oltre un mese fa, ma la nomina è ancora in discussione.

Il cdm

Se a via Arenula non si sorride, anche a palazzo Chigi il lavoro procede con fatica. Giovedì, in un cdm fiume di due ore e mezza, sono stati approvati il decreto legge che fissa le elezioni europee all'8 e 9 giugno con possibilità di accorpare amministrative e regionali, il provvedimento voluto dalla Lega che permette il terzo mandato ai sindaci di comuni tra i 5 e i 15mila abitanti (sotto i 5mila viene eliminato il limite); il ddl sugli influencer, con pene fino a 50mila euro per violazione delle regole sulla trasparenza nella beneficienza e il ddl sulla cybersicurezza.

Infine, arriva in via sperimentale dal 1 gennaio 2025 e per un anno la prestazione universale per gli ultraottantenni non autosufficienti, con un Isee sotto i 6mila euro.

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