Il presidente Giuliano Amato stravolge la prassi della Corte costituzionale, ne diventa la voce e la trascina in politica.

La Consulta ha ammesso cinque quesiti referendari sulla giustizia, in materia di incandidabilità, limitazione delle misure cautelari, separazione delle funzioni dei magistrati, eliminazione delle firme per l'elezione dei togati del Csm e voto dei laici nei consigli giudiziari; ha invece dichiarato inammissibili i quesiti sulla cannabis e sulla responsabilità diretta dei magistrati, come aveva fatto ieri sull’eutanasia.

Qui si fermano le comunicazioni giuridiche e comincia la precisa scelta del presidente di parlare in una conferenza stampa nel merito delle decisioni: «Ho ritenuto giusto ripristinare un’usanza lontana della Corte: quella di tenere una conferenza stampa per spiegare decisioni che interessano particolarmente l’opinione pubblica».

E così è stato: in oltre un’ora di domande Amato ha argomentato le ragioni di bocciature e dichiarazioni di ammissibilità, anticipando di fatto il contenuto delle sentenze che verranno pubblicate nei prossimi giorni. Ma ha anche espresso valutazioni specifiche e così facendo ha messo la Corte al centro non solo dell’attenzione mediatica, ma anche dello scontro politico. Ha infatti respinto gli attacchi di oscurantismo provenute dai radicali e dall’associazione Luca Coscioni per la bocciatura dei quesiti su cannabis ed eutanasia e contrattaccato, dicendo che durante la campagna informativa del referendum si sono usate parole “fuorvianti”: «Il referendum non era sull’eutanasia, ma sull’omicidio del consenziente che, se fosse stato accolto, legittimerebbe l’omicidio ben al di là dei casi dei malati ai quali si pensa utilizzando il termine eutanasia». Stesso ragionamento anche per la cannabis, che era invece «un quesito sulle sostanze stupefacenti, come papavero, coca, cosiddette droghe pesanti» perchè i riferimenti a cui rimanda il testo non sarebbero le tabelle che prevedono la cannabis.

Le parole di Amato sono tanto chiare quanto incredibili, se pronunciate nel palazzo della Consulta, dove mai un presidente aveva scelto di argomentare in questo modo decisioni appena prese, nè di valutare le dichiarazioni del mondo politico. Ma di questo l’ex presidente del Consiglio ora diventato giudice costituzionale è ben cosciente: «Spiegare le sue scelte è un dovere della Corte, anche quando non viene esercitato» e anzi «in passato ho bonariamente rimproverato i presidenti che mi hanno preceduto, perchè parlavano molto di cose che con la Consulta non c’entravano e sarebbe stato invece meglio se avessero parlato della Corte».

Monito al parlamento

Altrettanto chiaro è che il suo interlocutore sono i cittadini intesi come opinione pubblica, con cui Amato sembra voler stabilire un rapporto diretto rivendicando per la Corte il coraggio di aver affrontato quelli che lui definisce «conflitti valoriali, che sono i più difficili da comporre ma stanno diventando i più importanti». Conflitti che, invece, il parlamento non sarebbe in grado di risolvere. «Forse è troppo occupato dalle questioni economiche», dice Amato con un riferimento che non sfuggirà al premier Mario Draghi, «ma forse il parlamento non dedica abbastanza tempo a cercare di trovare la soluzione. Invece è fondamentale che in parlamento capiscano che se questi temi escono dal loro ordine del giorno possono alimentare dissensi corrosivi per la coesione sociale». Un’indicazione per nulla velata, destinata a rimbombare nelle camere. Il presidente si spinge oltre, dicendo che il rapporto con il parlamento è effettivamente problematico e che servirebbe maggior collaborazione «per trovare procedure diverse rispetto al solo monito che è la nostra decisione». Anche lui ammette che «la Corte non può essere coinvolta nell’attività legislativa», ma «servono occasioni di incontro in cui far arrivare segnalazioni, che evochino poi decisioni parlamentari». Portato all’estremo, Amato sembra suggerire che la Corte – bussola costituzionale del paese e l’unica che ha affrontato i conflitti di questo tempo – possa sussurrare al parlamento le priorità su cui legiferare.

Terminato lo stupore, le parole di Amato sono già diventate oggetto di scontro. Sul piano mediatico, hanno riacceso i fari su un’istituzione da tempo impegnata ad “aprirsi” ma che ora è a tutti gli effetti diventata un attore politico. Su quello giuridico, è impossibile non ricordare gli atti dell’assemblea costituente, in cui i delegati discutevano della natura e dell’opportunità di istituire un tribunale che fosse giudice delle leggi ma senza legittimazione popolare. E il segretario del Pci, Palmiro Togliatti, lo definì un organo «che non si sa cosa sia» ma grazie al quale alcuni cittadini sono collocati «al di sopra di tutto il sistema del parlamento e della democrazia, per essere giudici». Dal tenore dell’inizio del suo mandato, Amato ha chiaro cosa sia per lui la Corte, ma soprattutto quale ruolo le farà esercitare.

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