Si è conclusa la conferenza stampa del presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, in merito alle decisioni sui referendum sull’eutanasia, sulla giustizia e sulla cannabis legale.

La decisione sull'eutanasia

Amato, sul primo referendum, ritenuto inammissibile ha detto: «Leggere o sentire che chi ha preso ieri la decisione sull’eutanasia non sa cosa sia la sofferenza mi ha ferito. La parola “eutanasia” ha portato a tutto questo. Il referendum era sull’omicidio del consenziente, che sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi dall’eutanasia». 

Il presidente ha poi specificato che la Corte non aveva la possibilità di cambiare il quesito, era chiamata a valutare solo l’ammissibilità del referendum. Altrimenti, ha detto Amato, sarebbero intervenuti sul quesito relativo all’eutanasia.

«È un referendum che apre l’impunità penale. Occorre dimensionare il tema dell’eutanasia sulle persone su cui si applica, coloro che soffrono, come quelli per cui abbiamo ammesso il suicidio assistito. Noi con il quesito referendario non lo potevamo fare. Di sicuro lo può fare il parlamento», ha aggiunto.

Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, tra i promotori dei referendum sull’eutanasia e sulla cannabis, ha definito il giudice Amato «una personalità molto politica, e questa è una decisione politica». «In due ore hanno liquidato la nostra iniziativa», ha continuato, «Volevano sbrigarsela anche prima, bastava guardare le facce dei relatori per capirlo: il giudice costituzionale Franco Modugno ha sbuffato indispettito tutto il tempo alle argomentazioni dei nostri avvocati. C'è insofferenza e ostilità contro di noi». 

Il presidente Amato ha risposto a queste dichiarazioni in conferenza stampa, affermando che il tesoriere dell’associazione Coscioni è «molto più politico di lui» e aggiungendo: «Cappato ha avuto la sua assoluzione nel caso “Cappato-dj Fabo” anche grazie a questa Corte». Ha quindi evidenziato che l’orientamento della Corte non è assolutamente contrario alla materia.

i quesiti sulla giustizia

Il presidente ha poi parlato dei cinque quesiti referendari sulla giustizia che sono stati ammessi. È stato invece dichiarato inammissibile il quesito sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. 

il referendum sulla cannabis

«Il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali», dice il presidente della Corte, dichiarando inammissibile il quesito.


Amato ha spiegato che «il quesito è articolato in tre sottoquesiti e il primo relativo all'articolo 73 comma 1 della legge sulla droga prevede che scompare tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, ma la cannabis è alla tabella 2, quelle includono il papavero la coca, le cosiddette droghe pesanti». Secondo il presidente «è sufficiente a farci violare obblighi internazionali plurimi che abbiamo e che sono un limite indiscutibile dei referendum». 

Il quesito sulle sostanze stupefacenti, diviso in tre pezzi, quindi non può essere ammesso solo in parte, dice Amato, ma dev’essere valutato nella sua interezza.

Cappato ha commentato le dichiarazioni del presidente della Corte costituzionale, secondo cui ci sarebbero stati errori nelle tabelle indicate nel quesito referendario. 

il ruolo della corte costituzionale

Amato ha sottolineato la necessità di un intervento da parte del parlamento: «I temi valoriali sono i più importanti e sono quelli che dividono la nostra società. Il nostro parlamento sarà che è troppo occupato dalle questioni economiche ma forse non dedica abbastanza tempo a cercare di trovare le soluzioni».

In merito ai rapporti della Corte costituzionale con gli altri poteri dello stato, il presidente Amato ha commentato: «Parlare di quello che facciamo è un dovere della Corte», ha detto. «Il nostro problema è principalmente il rapporto con il parlamento. Anche il rapporto con il governo, ma nel corso degli anni lo abbiamo molto smussato. La collaborazione con il parlamento deve trovare procedure diverse dal cosiddetto monito, che noi mettiamo nella nostra decisione. È evidente che questo non basta. Non siamo coinvolti nell’attività legislativa, andremmo oltre i nostri compiti e non dobbiamo, ma avere un rapporto attraverso incontri in cui ci si parla, ci si spiega a voce. Perché la sentenza può non essere sufficientemente chiara a voi e può non essere chiara al parlamentato».

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