I referendum sulla giustizia non hanno raggiunto il quorum ma si sono fermati al 20,9 per cento, il risultato più basso della storia italiana.

Le ragioni del flop sono varie: secondo i promotori c’è stato un silenziamento del dibattito, secondo i contrari i quesiti erano troppo tecnici e i sostenitori troppo ondivaghi nelle posizioni.

Inoltre, tre dei cinque quesiti sono oggetto della riforma Cartabia sull’ordinamento giudiziario, che dovrebbe essere approvata al Senato in via definitiva il 15 giugno.

Le firme per candidarsi al Csm

ll quesito sull’abrogazione dell’obbligo di raccolta firme, tra le 25 e le 50, per il magistrato che vuole candidarsi al Consiglio superiore della magistratura, riguardava il meccanismo con cui vengono eletti i consiglieri togati del Csm.

Per candidarsi, infatti, oggi devono presentare tra le 25 e le 50 firme a sostegno del loro nome.

Secondo i sostenitori del sì, eliminare le firme significava ridurre il peso dei gruppi associativi e quindi il condizionamento delle “correnti” nella presentazione delle candidature al Csm. Senza la raccolta firme, infatti, virtualmente ogni magistrato che aspiri a diventare togato al Csm può candidarsi senza alcuna incombenza.

Anche la riforma dell’ordinamento giudiziario in via di approvazione al Senato prevede nella nuova legge elettorale del Csm l’eliminazione della raccolta firme. La raccolta firme, quindi, verrà con tutta probabilità comunque abolita.

Valutazione dei magistrati

Il quesito prevedeva di abrogare il divieto di voto dei membri laici nei consigli giudiziari.

I consigli giudiziari sono dei piccoli Csm locali, presenti in ogni distretto. All’interno di questi consigli sono eletti i magistrati che operano nel distretto, insieme a dei consiglieri laici individuati tra gli avvocati e i professori universitari.

Tra le varie funzioni che questi consigli svolgono, c’è anche la valutazione di professionalità dei magistrati, che serve per i passaggi di anzianità e di stipendio. Oggi i componenti laici non hanno diritto di voto nel giudizio di professionalità dei magistrati e in alcuni distretti nemmeno la possibilità di partecipare, senza votare, alla seduta.

Secondo i promotori, introdurre il diritto di voto per i membri laici esterni alla magistratura avrebbe reso più equilibrata la valutazione di professionalità.

Attualmente, infatti, le valutazioni sono sostanzialmente tutte positive (secondo i dati del ministero, tra il 2017 e il 2021 le valutazioni positive sono state il 99,2 per cento).

La riforma dell’ordinamento giudiziario prevede comunque di modificare questa norma: non introducendo il voto secco dei laici, ma il voto “unitario” dell’avvocatura in consiglio giudiziario, previo parere del locale consiglio dell’ordine e solo nel caso di segnalazioni sui magistrati da valutare. In questo modo, il voto degli avvocati non sarebbe individuale del singolo, ma necessariamente derivante dal parere del consiglio dell’ordine.

Separazione delle funzioni tra giudici e pm

Il quesito riguardava la separazione delle funzioni tra giudici penali e pubblici ministeri.

Attualmente, i magistrati hanno una carriera unica: fanno un unico concorso uguale per tutti e poi scelgono che funzione svolgere tra giudice penale, giudice civile e pubblico ministero. Poi, in corso di carriera, possono cambiare ruolo fino a quattro volte.

L’obiettivo dei promotori è di raggiungere un primo stadio di separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, eliminando la possibilità di passare da una funzione all’altra. In questo modo, un neo-magistrato deve scegliere in che ruolo cimentarsi per l’intera vita professionale.

Così, il sistema giustizia si riequilibrerebbe perchè non ci sarebbero più commistioni tra il magistrato che giudica – che deve essere imparziale rispetto sia all’accusa che alla difesa – e il magistrato che svolge le indagini e accusa.

Anche questa previsione è modificata dal disegno di legge sull’ordinamento giudiziario: il testo non elimina il passaggio di funzioni, ma lo limita a un solo passaggio, che può essere chiesto solo nei primi anni di carriera.

Misure cautelari

Il referendum sulla scheda arancione riguardava la modifica dell’articolo 274 del codice di procedura penale, che riguarda le misure cautelari. In particolare, il quesito prevede di eliminare la misura cautelare in carcere nel caso di rischio di “reiterazione dello stesso reato”, quando non si tratti di reati gravi.

Questa modifica non è contemplata in nessuna riforma della giustizia in via di approvazione oppure depositata, quindi il mancato quorum fa sì che la situazione rimanga invariata e che il gip possa disporre misure cautelari anche in caso di pericolo di reiterazione dello stesso reato.

Legge Severino

Il quesito prevedeva di abrogare del tutto la cosiddetta legge Severino, che disciplina i casi di eleggibilità e candidabilità di parlamentari e amministratori locali che siano sottoposti a procedimenti penali per alcuni specifici reati.

La legge prevede che parlamentari, europarlamentari e membri del governo non possano essere candidati oppure decadano dalla carica se, anche in corso di mandato, sono stati condannati in via definitiva a una pena superiore a due anni per reati di mafia, terrorismo e reati contro la pubblica amministrazione con pena superiore a 4 anni.

Per gli amministratori locali, invece, è prevista l’incandidabilità in caso di condanne definitive per mafia, terrorismo, corruzione e concussione, ma anche se hanno riportato una condanna definitiva superiore a due anni per delitti non colposi. In questi stessi casi, si prevede la decadenza o la sospensione degli amministratori locali anche nel caso in cui abbiano riportato condanna non definitiva, dunque in primo o secondo grado.

I promotori del referendum ritenevano che andasse eliminato l’automatismo per ripristinare la libertà del giudice di prevedere, insieme alla sentenza di condanna, la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

Il mancato quorum fa sì che la legge Severino rimanga invariata, anche se esiste una proposta di legge depositata dal Pd, che va sotto il nome di “pacchetto sindaci”, che punta ad abolire la previsione della sospensione degli amministratori locali anche in caso di condanna non passata in giudicato.

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