La riforma costituzionale per cui si andrà al referendum tra marzo e aprile, la cosiddetta riforma della giustizia targata Carlo Nordio, ha un contenuto piuttosto tecnico che tocca il funzionamento dell’apparato giudiziario e degli evidenti risvolti politici. Per fare ordine, è necessario anzitutto spiegare cosa prevede.

La riforma separa i pubblici ministeri (la magistratura requirente) dai giudici (la magistratura giudicante), che diventano così due carriere distinte e separate. Come questa divisione in concreto avverrà – tramite due concorsi distinti, per esempio – sarà disciplinato dalle leggi attuative. Oggi, invece, tutti i magistrati accedono mediante lo stesso concorso all’esito del quale scelgono se prendere servizio in tribunale (i giudici) o in procura (i pubblici ministeri), anche a seconda dei posti disponibili. La riforma Cartabia del 2022 ha previsto che il passaggio da un ruolo all’altro sia possibile solo una volta in carriera, entro i primi dieci anni. Nel 2024, i passaggi da una funzione all’altra sono stati 42, su 8.817 magistrati in servizio.

La seconda parte della riforma riguarda il Consiglio superiore della magistratura, che è l’organo costituzionale che governa la vita professionale dei magistrati.

Attualmente il Csm è composto da 20 membri togati, eletti con legge proporzionale tra i magistrati che si candidano, e 10 membri laici eletti dal parlamento tra gli autocandidati e candidati dai gruppi parlamentati in una lista chiusa. Ne fanno poi parte di diritto il primo presidente della Cassazione e il procuratore generale di Cassazione e il presidente della Repubblica che lo presiede. Si occupa dell’organizzazione degli uffici, delle nomine, delle valutazioni di professionalità e della materia disciplinare.

La riforma prevede la creazione di due Csm, uno per i pm e uno per i giudici. La composizione rimane identica: 20 pm e 10 laici per il «Consiglio superiore della magistratura requirente» con il procuratore generale presso la Cassazione come membro di diritto; e 20 giudici e 10 laici per il «Consiglio superiore della magistratura giudicante», con il primo presidente della Cassazione come membro di diritto. Entrambi saranno presieduti dal Capo dello Stato. I membri togati verranno sorteggiati tra tutti gli aventi diritto (nella legge di attuazione verranno previsti dei requisiti minimi, come la mancanza di procedimenti disciplinari e la quinta o sesta valutazione di professionalità); i membri laici verranno sorteggiati tra gli aventi diritto (professori ordinari in materie giuridiche o avvocati con 15 anni di esercizio della professione) indicati in una lista compilata sei mesi prima dal parlamento. 

Questi due Consigli avranno tutte le funzioni di quello odierno meno una: la materia disciplinare sarà affidata a una unica Alta corte, composta da 15 membri: 3 scelti dal Quirinale tra professori ordinari e avvocati con 20 anni di esercizio della professione; 3 sorteggiati dalla lista composta dal parlamento con i requisiti previsti; 6 sorteggiati tra i giudici; 3 sorteggiati tra i pm.

Le questioni tecniche

I sostenitori del sì e del no motivano le loro tesi con affermazioni che riguardano la riforma, alcune vere e alcune inesatte, altre che nulla c’entrano.

La riforma velocizza i processi penali?

No, la riforma non incide sulla durata dei processi penali ma solo sul funzionamento interno della magistratura. Potenzialmente però, nell’arco di alcuni anni dall’entrata in vigore, potrebbe rendere più complicato il coordinamento tra tribunali e procure e queste difficoltà organizzative possono rischiare di rendere più lenta la macchina complessiva.

Quanto costa la riforma?

La riforma “costa” nella misura in cui crea due nuovi organi: il secondo Consiglio superiore e l’Alta corte per il disciplinare. Attualmente – tra costi di funzionamento e indennità per i membri – il Csm ha uno stanziamento annuo di 32,5 milioni di euro. É ipotizzabile che con la riforma la spesa complessiva lieviti intorno agli 80 milioni di euro.

La riforma elimina le correnti?

La riforma non tocca l’esistenza dei gruppi associativi in cui si divide la magistratura (i progressisti di Magistratura democratica e Area; i centristi di Unicost e i conservatori di Magistratura indipendente). Tuttavia, il sorteggio impedisce che i gruppi si organizzino in liste alle elezioni del Csm e che grazie a questo coordinamento vengano eletti rappresentanti così scelti, come è oggi. Attualmente, infatti, il Csm è composto da 7 togati di Mi; 6 di Area; 4 di Unicost; 1 di Md e 2 che non aderiscono a nessun gruppo.

In sintesi, quindi, il sorteggio impedirà che i componenti togati entrino al Csm in ragione della loro collocazione in un gruppo. Tuttavia, è ben possibile che uno o più sorteggiati facciano parte di un gruppo.

Le correnti continueranno a comporre l’Associazione nazionale magistrati – il cosiddetto sindacato delle toghe – i cui membri vengono scelti in via elettiva.

Il pm e l’avvocato diventeranno uguali?

Il parallelo è complicato. Il centrodestra definisce il nuovo rapporto come un «triangolo isoscele», con il giudice al vertice e pm e avvocato da lui equidistanti. Le figure però sono difficilmente comparabili: nella fase delle indagini preliminari, infatti, il pm continua ad avere l’obbligo di indagare a tutto tondo, cercando (e depositando) tutto il materiale probatorio raccolto, comprese le prove a sgravio dell’indagato; l’avvocato invece può fare indagini difensive con poteri evidentemente molto inferiori rispetto a quelli del pm, ma può tacere prove acquisite che danneggerebbero il suo cliente.

La riforma sottopone i pubblici ministeri all’esecutivo?

Tecnicamente no. La riforma, infatti, continua a prevedere letteralmente che il pm rimanga «autonomo e indipendente rispetto a ogni altro potere». Dunque nulla nella riforma fa presupporre uno slittamento del pm nell’orbita del governo. Tuttavia, il pm separato dal giudice rimarrà il titolare dell’azione penale e coordinerà la polizia giudiziaria, composta da membri della polizia, dei carabinieri o della guardia di finanza. Tutte forze dell’ordine sottoposte verticisticamente al ministero dell’Interno, della Difesa e dell’Economia. Chi sostiene la tesi dell’influenza all’esecutivo cita il caso della Francia, dove il pm separato dal giudice è sottoposto al ministero della Giustizia.

Il pm diventerà più debole o più forte?

Il testo della riforma non tocca i poteri del pubblico ministero, che restano formalmente invariati. Tuttavia i sostenitori del No teorizzano che il pm, isolato dal giudice, perda i suoi connotati di garante dei diritti e diventi esclusivamente un organo di accusa con enormi poteri di indagine, sbilanciato verso il momento delle indagini e proiettato verso la polizia giudiziaria. 

Il giudice diventa più debole o più forte?

Come nel caso dei pm, la riforma non tocca i poteri dei giudici. Tuttavia i sostenitori del Sì sono convinti che la riforma valorizzi il ruolo del giudice, che così sarà davvero terzo e imparziale e in alcun modo condizionato dal pubblico ministero.

Togliere il settore disciplinare dalle competenze del Csm per darle a una Alta corte è una forzatura?

Formalmente no, nella misura in cui con una riforma del 2012 anche per l’avvocatura esiste un ente apposito che si occupa del disciplinare (I consigli distrettuali di disciplina) scorporato dal Consiglio dell’ordine. Dal punto di vista del funzionamento, tuttavia, si possono riscontrare tre anomalie: la riforma separa pm e giudici ma poi li riunisce sotto un’unica corte disciplinare, nella quale la maggioranza è di togati solo se si sommano i rispettivi rappresentanti sorteggiati; così non è per nessuna delle altre magistrature, contabile, amministrativa e tributaria; le sentenze dell’Alta corte non sono impugnabili in Cassazione come è ora per quelle della Sezione disciplinare del Csm, ma solo davanti alla stessa Alta corte. Un’anomalia, questa, difficilmente spiegabile.

In quali paesi è presente la separazione delle carriere?

Le comparazioni non sono facili, perché in ogni paese il ruolo del pm ha delle caratteristiche peculiari. Tuttavia, ragionando per macro insiemi, nei paesi di common law come USA, Regno Unito, Canada e Australia la separazione è implicita nel loro sistema. Per quanto riguarda i paesi europei, i due grandi paesi con la separazione delle carriere sono la Francia, in cui il pm non solo è separato dal giudice ma è anche funzionalmente sottoposto al ministero della Giustizia, anche se esiste un unico Csm per pm e giudici; e il Portogallo, dove il pm è separato dal giudice e con un suo Csm, ma indipendente rispetto all’esecutivo.

La separazione delle carriere è necessaria per dare forma a un sistema accusatorio come quello introdotto dalla riforma Vassalli?

Astrattamente sì, tuttavia bisogna intendersi in cosa si intenda per sistema accusatorio, che è tipico della common law anglosassone (la giustizia europea è prevalentemente di civil law). In purezza, il sistema accusatorio si fonda su tre pilastri: la separazione tra giudice e pm; la discrezionalità dell’azione penale e la formazione della prova nel dibattimento. É così negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Nel nostro ordinamento invece, l’azione penale è obbligatoria, come prevede la Costituzione, e la riforma non lo ha modificato.

La riforma Vassalli ha eliminato il sistema inquisitorio precedente, che prevedeva la figura del giudice istruttore, come era Falcone per esempio, che era padrone della fase delle indagini, svolgendole in autonomia e senza un gip a cui chiedere di disporre le misure cautelari, per poi decidere per l’archiviazione o chiedere il rinvio a giudizio. La riforma ha eliminato il giudice istruttore e introdotto la figura del giudice delle indagini preliminari, che sovrintende allo svolgimento delle indagini da parte del pm. Essendo una riforma del codice di procedura penale, non ha inciso sulla Costituzione che prevede l’esistenza di un’unica magistratura.

Le questioni politiche

La riforma è vessatoria nei confronti dei magistrati?

Lo è nella misura in cui si ritiene che il meccanismo del sorteggio per scegliere i membri del Csm sia un modo per sottintendere che la categoria dei magistrati sia così inaffidabile da non poterle permettere di eleggere i componenti del suo organo di governo autonomo. Chi sostiene il contrario – come il ministro della Giustizia Carlo Nordio – sostiene che tutti i magistrati sono in grado di svolgere le funzioni al Csm allo stesso modo in cui «sono in grado di condannare o di chiedere l’ergastolo per qualcuno». 

Un dato di fatto è che nessun organo costituzionale – e il Consiglio superiore lo è – ha i propri membri scelti per sorteggio.

Giovanni Falcone era favorevole alla separazione delle carriere?

Sì, in una intervista del 3 ottobre 1991 al Repubblica, Falcone parla della riforma del 1989 che introduce il sistema accusatorio in Italia e dice che «un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice». E ancora, «contraddice tutto ciò il fatto che avendo formazione e carriere unificate con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri».

Suoi amici come l’ex pm Piero Grasso e Alfredo Morvillo dicono invece che, privatamente, fosse contrario alla separazione.

È la riforma che voleva Licio Gelli, capo della P2?

Nel Piano di Rinascita Democratica della P2 si legge che tra le riforme da mettere in atto c’è anche quella dell’ordinamento giudiziario, compresa la separazione dei giudici e pm. Tra gli obiettivi di breve termine ci sono «la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati», «il divieto di nomina sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari», «la normativa per l’accesso in carriera (esami psicoattitudinali preliminari)», «la modifica delle norme in tema di facoltà libertà provvisoria in presenza dei reati di eversione». In quelli a medio e lungo termine, «unità del pm» che «è distinto dai giudici»; «la responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del pm» e altri obiettivi ancora. 

Se la maggioranza perde il referendum, la premier Giorgia Meloni deve dimettersi?

Tecnicamente no. Il referendum costituzionale non ha alcun legame diretto con la legittimazione del governo a proseguire nella legislatura. Tuttavia, le opposizioni ritengono che una bocciatura di una riforma costituzionale corrisponda anche a una bocciatura del governo e dunque implichi conseguenze anche politiche. La maggioranza, invece, ritiene che il referendum sia su una riforma tecnica e che dunque non intacchi politicamente la stabilità del governo.

© Riproduzione riservata