Margherita Cassano, prima donna presidente della Corte di Cassazione. Maria Masi, prima presidente del Consiglio nazionale forense. Paola Severino, prima ministra della Giustizia. Sono loro le protagoniste de “La signora in-giustizia”, il panel dedicato alla giustizia e i diritti al Domani delle donne, la due giorni di dialoghi sul potere e la rappresentazione femminile in scena al Tempio di Vibia Sabina e Adriano, a Roma.

Durante l’incontro moderato da Giulia Merlo, giornalista di Domani e autrice della newsletter In contraddittorio, si sono confrontate le prime donne a ricoprire queste tre posizioni di vertice nel mondo della giustizia, un settore tradizionalmente conservatore che ci ha messo molto a dare spazio al genere femminile. E che forse oggi si illude di aver rotto il soffitto di cristallo.

Sostegno e pregiudizio

Ma qual è la loro esperienza personale? Si sono mai sentite sopportate o escluse dal mondo della giustizia? «A inizio carriera ho colto forme di pregiudizio da parte di alcuni miei colleghi più esperti, ma questo mi ha fortificato. Più avanti negli anni non mi è più capitato, anche perché i tempi sono cambiati: è del 1963 la legge che ha aperto alle donne in magistratura, con l’arrivo due anni dopo delle prime magistrate», ha detto Cassano, fino allo scorso settembre prima presidente della Corte di Cassazione.

La parola è poi passata a Masi, avvocata del Foro di Nola e prima donna a guidare l’organo di rappresentanza dell’avvocatura italiana. Com’è stato governare un ambiente così complesso, in cui i clienti scelgono a chi affidarsi anche indipendentemente dal merito? «In carriera sono stata supportata anche dagli uomini, a partire da quelli della mia vita privata, mio padre e mio marito. E anche da parte dei clienti non ho percepito discriminazioni. Ma so di essere stata fortunata e sento la responsabilità di appoggiare chi non ha avuto lo stesso sostegno».

Prima il merito

«Quando ho iniziato a fare la penalista eravamo in due donne. I colleghi maschi mi chiedevano se volessi diventare come la mia collega più anziana, che era una figura piuttosto dura: io rispondevo che si può fare l’avvocato anche rimanendo femminile», ha invece raccontato Severino, professoressa emerita di diritto penale all’Università Luiss. «Il tempo ci ha dato ragione, vedo tante ragazze appassionate che oggi lo fanno con successo».

Severino ha poi ricostruito la sua esperienza da ministra della Giustizia, escludendo che essere donna abbia avuto un peso sulla sua nomina: «Per me fu una sorpresa quando Mario Monti mi chiamò. Andare al ministero voleva dire chiudere uno studio in 24 ore. Ma mi rassicurò il fatto di potermi scegliere in autonomia lo staff, composto da molte donne anche senza bisogno di quote rosa, ma basandomi sul merito: ci sono uomini e donne meritevoli e queste vanno scelte».

Raggiungere il vertice

Tornando al mondo della magistratura, Merlo ha sottolineato la difficoltà che le donne hanno a fare carriera nelle posizioni apicali. Perché sono tante alla base – oggi sono donne più del 50 per cento dei magistrati – e molte meno ai vertici? Dipende da una loro autoesclusione o da pregiudizi ancora presenti in chi le deve giudicare? «Le donne sono entrate in ritardo in magistratura e quindi si sconta un gap temporale ancora da riassorbire del tutto rispetto alle regole dell’ordinamento giudiziario», ha esordito Cassano.

«Ho poi l’impressione che in una parte delle donne magistrato scatti la tendenza a tagliarsi fuori da sole, dato che negli anni centrali della loro vita sono assorbite dalla cura della famiglia. Ma è vero che per le magistrate il cambio di sede è un elemento più gravoso che per gli uomini. Anche perché le sedi di centro-sud hanno meno servizi di supporto», ha notato l’ex presidente della Corte di Cassazione.

Nella sottorappresentazione delle donne al vertice, infatti, pesa il fatto che per passare a incarichi direttivi sia quasi sempre richiesto cambiare distretto, e quindi regione, elemento che penalizza le donne molto più degli uomini. Ma ancora più difficile è per le avvocate, che agiscono nel libero mercato e per cui può essere pesante gestire una maternità: «Il rischio di perdere clienti è concreto, ho visto con i miei occhi colleghi uomini approfittare di gravidanze per soffiare clienti ad avvocati donne».

Le nuove generazioni

Severino, che è anche presidente della Luiss school of law, ha poi riflettuto sul ruolo dell’insegnamento nella formazione delle giovani generazioni, soprattutto delle studentesse di giurisprudenza, che saranno le magistrate, le avvocate e le professoresse di domani: «Fondamentale è trasmettere loro il principio del merito: si avanza per merito e su quello bisogna fare affidamento». L’insegnamento più importante è che, quando si sceglie una persona per un incarico, «va scelta la più meritevole, a prescindere che sia una donna o un uomo».

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