Tutta l’attenzione è stata catalizzata dalla riscrittura della norma sulla prescrizione, ma il disegno di legge di delega al governo per la riforma del processo penale che lo renda compatibile con i tempi europei contiene molto altro. In particolare, misure che puntano a ridurre la burocrazia processuale che determina lungaggini ingiustificate e modifiche che dovrebbero favorire il decongestionamento del rito ordinario in favore dei procedimenti speciali, più celeri.

Questo pacchetto di misure, frutto del lavoro di sintesi operato dal Ministero della Giustizia a partire dalla relazione della commissione di esperti presieduta da Giorgio Lattanzi, è la vera scommessa della guardasigilli Marta Cartabia. A chiunque le contestasse il compromesso sulla prescrizione prima sostanziale e poi processuale, con annessi rischi anche di costituzionalità, la ministra ha sempre opposto questo: «La riforma va letta nel suo complesso». Tradotto: la prescrizione deve essere una patologia processuale che incorre in più raramente possibile, grazie agli interventi di velocizzazione complessiva della macchina della giustizia penale. Quanto questi interventi saranno risolutivi si vedrà. Anzi, come ha quasi amaramente constatato la ministra davanti alla platea di avvocati del Congresso nazionale forense, «forse se ne gioverà il prossimo ministro della giustizia».

Notificazioni

Il ddl incide in tre direzioni, per eliminare alcune lungaggini burocratiche. La prima riguarda il potenziamento del processo penale telematico, con la previsione che atti e documenti possano essere formati, conservati, depositati e notificati in via telematica, che avverrà in modo graduale per coordinare il sistema vigente con le nuove norme, soprattutto alla luce dei molti malfunzionamenti dei server in uso dal ministero, che spesso vanno in tilt lasciando senza piattaforma magistrati e avvocati. Inoltre, è previsto lo svolgimento dell’udienza da remoto, con l’accordo delle parti.

La seconda riguarda le notificazioni: l’imputato non detenuto avrà l’obbligo di indicare recapiti telefonici, ma anche recapiti telematici per ricevere le notifiche. Tuttavia (e questa previsione è stata molto avversata dagli avvocati, che così hanno più oneri), tutte le notificazioni successive alla citazione in giudizio avverranno presso il difensore, così da evitare tutti i casi in cui gli imputati si rendano irreperibili. E’ prevista anche un ridefinizione dei casi in cui l’imputato si debba ritenere presente o assente e il giudice può procedere anche in assenza, se valuta che l’imputato sia al corrente del processo. Cambieranno anche i casi in cui si riconosce la latitanza.

Infine, per ridurre il numero di impugnazioni, in appello il difensore di imputato assente può procedere solo se provvisto di un mandato specifico. Infine, sono previste la registrazione audiovisiva di interrogatori, prove dichiarative e anche l’audioregistrazione dell’assunzione di informazioni di persone informate sui fatti. Nel caso di mutamento del giudice, queste prove non devono venire riassunte se non in caso di specifiche esigenze.

I tempi di fase

La riforma stabilisce tempi fissi soprattutto per la fase delle indagini preliminari, durante le quali oggi si prescrive più del 30 per cento dei reati. Vengono modificati i termini di durata, a seconda dei reati: 6 mesi dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato per le contravvenzioni; un anno e 6 mesi per i delitti più gravi (per cui ora sono previsti 2 anni) e un anno per tutti gli altri. La proroga è possibile una sola volta, per un massimo di 6 mesi, giustificata dalla complessità delle indagini. Decorsi i termini, il pm deve esercitare l’azione penale o chiedere l’archiviazione, che va richiesta anche “quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna” (norma non gradita ai magistrati). Infine, vengono aumentati i poteri di intervento del gip, nel caso di inerzia nell’azione del pm e di stasi del procedimento.

Altra norma poco gradita ai magistrati e criticata anche dal Consiglio superiore della magistratura prevede che sia il parlamento con legge a indicare i “criteri generali di priorità, trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure, per selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza, tenendo conto anche di numero di affari da trattare e dell’utilizzo risorse disponibili”.

Vengono poi estesi i reati di competenza del tribunale monocratico, si prevede la sentenza di non luogo a procedere quanto gli elementi acquisiti non consentano una ragionevole previsione di condanna e criteri più stringenti per l’adozione del decreto di riapertura delle indagini. La prima udienza del processo diventa il luogo in cui le parti devono illustrare le rispettive richieste di prova e in cui il giudice deve fissare il calendario delle udienze. Infine, vengono previsti criteri più stringenti sui motivi di appello.

Giustizia riparativa

L’ipotesi di disporre una pena pecuniaria viene rafforzata e i criteri vengono rivisti per renderla effettiva e rapida. Vengono ridisegnate anche le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, come la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità, ai fini della rieducazione del condannato. A disporle, inoltre, sarà il giudice della cognizione all’interno della sentenza di condanna, quando ritiene di poter sostituire la pena detentiva entro i 4 anni con altre misure. Si rafforza anche la giustizia riparativa, con l’introduzione di nuovi criteri per l’accesso e maggiori garanzie sia per le vittime che per gli imputati. Si ridisegna anche l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, richiamando i principi europei e dando rilievo alla condotta successiva al reato.

A livello organizzativo, infine, la riforma prevede l’introduzione dell’ufficio del processo, ovvero di un nucleo di lavoro composto da tirocinanti, magistrati onorari e funzionari che coadiuvino i giudici anche nello smaltimento dell’arretrato.

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