La corte d’appello di Brescia ha deciso di rinviare l'udienza per discutere l'istanza di revisione del processo al prossimo 16 aprile, dopo la richiesta formulata dalla difesa dei coniugi imputati, Rosa Bazzi e Olindo Romano.

In questo modo, chiariscono i giudici, le parti avranno la possibilità di leggere tutti i documenti depositati dalla procura generale e dalle parti civili. «Va valutato che la memoria di parte civile richiede uno studio» ha affermato Antonio Minervini, presidente del collegio della Corte d'Appello di Brescia.

Ci sarà quindi ancora da attendere per sapere se esistono effettivamente nuovi elementi sopraggiunti che possano determinare l’innocenza dei coniugi per l’omicidio di quattro persone - Raffaella Castagna, il figlio Youssef, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini – e per il tentato omicidio di Mario Frigerio, marito della Cherubini, rimasto a terra sgozzato ma vivo.

L’udienza

«La soddisfazione è che la casa di Erba non era un luogo di spaccio, come hanno sempre fatto credere». Sono queste le parole che Azouz Marzouk, marito di Castagna e padre del bimbo uccisi, ha detto uscendo dal palazzo di giustizia di Brescia, dopo la decisione della corte di rinviare l’udienza. «Lo ha detto anche il procuratore generale di Brescia che in quello che è accaduto non c’entra niente il mondo dello spaccio», ha affermato. «L’importante è fare chiarezza e avere giustizia, che finora non è stata fatta».

Marzouk sostiene l’innocenza dei coniugi romano. Entrando in aula stamattina aveva dichiarato: «Non sono stati loro, per me sono innocenti».

L’avvocato generale dello Stato Domenico Chiaro, che rappresenta l’accusa insieme al pg di Brescia Guido Rispoli, prima dell’udienza, aveva chiesto che l’istanza fosse dichiarata «inammissibile» perché «priva di motivazioni». Chiaro ha parlato di «Un can can mediatico, incontri pubblici e in tv. Il popolo ha diritto ha essere informato, ma credo che si siano superati determinati limiti».

Poi ha spiegato che «non è vero che la condanna si basa solo su tre prove. Plurimi sono gli indizi che gravano sugli imputati» e «ci sono tre rilevanti prove ma non le uniche, la ferita, la manomissione dei contatori, le ecchimosi di Olindo». Secondo Chiaro, «non ci sono fatti nuovi dal punto di vista probatorio» e le intercettazioni «non assurgono a dignità di prove». Inoltre, non ci fu «nessun falso» ricordo nella testimonianza di Mario Frigerio che per primo fece il nome di Olindo Romano e «Lo disse tre volte».

Sulla stessa linea il pg di Brescia, che ha contestato che nelle consulenze scientifiche sulla scena del delitto della difesa della criminologa Roberta Bruzzone siano state usate metodologie che all'epoca dei fatti non esistevano: «Le macchie di sangue e la scena del crimine sono elementi già in possesso dei giudici precedenti ed erano già stati analizzati compiutamente».

Secondo l’accusa le prove sopraggiunte sono inammissibili e viene smentita la ricostruzione della difesa: le confessioni della coppia non sono state estorte; Mario Frigerio, unico sopravvissuto al massacro, riconosce subito nel vicino di casa Olindo; la macchia di sangue della vittima Valeria Cherubini trovata sul battitacco dell'auto della coppia è stato portato dall'ex netturbino. 

Secondo Fabio Schembri, uno dei legali dei coniugi Romano, il fatto che il pg e l'avvocato dello Stato di Brescia siano «entrati nel merito delle prove» per sostenerne l'inammissibilità «significa che tanto inammissibili non sono». Llo dimostreremo il 16 aprile», ha aggiunto Schembri.

Cosa è la revisione

Il giudizio di revisione è una forma di impugnazione straordinaria, perché avviene su una sentenza già passata in giudicato. In questo caso, la sentenza di cassazione del 2011 che ha condannato in via definitiva all’ergastolo Olindo e Rosa.

Proprio per la sua straordinarietà, la revisione può essere richiesta solo in casi eccezionali: nel caso di condanna basata su falsità negli atti o in giudizio, nel caso in cui i fatti su cui si basa la condanna siano inconciliabili con quelli stabiliti in un’altra sentenza e – questo è il caso dei coniugi Romano – nel caso in cui dopo la condanna siano sopravvenute o si scoprano nuove prove che «dimostrano che il condannato deve essere prosciolto».

In altre parole, le nuove prove da produrre in giudizio devono portare all’assoluzione dei condannati e non possono essere solo prove che ne riducano la responsabilità.

La richiesta di revisione può essere presentata dagli stessi condannati o dai loro prossimi congiunti oppure dal procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza di condanna.

Le nuove prove portate da Tarfusser e dalla difesa si basano su tre perizie, che sono state frutto di tecnologie più moderne rispetto a quelle disponibili al momento degli omicidi.

Il procedimento contro Tarfusser

Collateralmente alla richiesta di revisione, è emerso anche un caso tutto interno alla corte d’appello di Milano. Il sostituto pg Tarfusser, infatti, è stato condannato disciplinarmente dal Csm alla “censura” proprio per aver presentato l’instanza di revisione. La sezione disciplinare ha dato ragione alla procuratrice generale Francesca Nanni, secondo cui l’iniziativa sarebbe avvenuta non rispettando le linee guida dell’ufficio, che prevedevano che la richiesta passasse dal vertice.

Tarfusser ha fatto sapere che impugnerà la condanna e ha usato parole molto dure in una lettera aperta. 

Il Csm «mi ha inflitto la sanzione della 'censura'" che verrà impugnata, per avere studiato degli atti processuali, avere scritto un atto giudiziario ed averlo depositato nella segreteria della Procura generale di Milano. Insomma, per avere fatto il magistrato», scrive. «Il 24 marzo 2023 perfettamente consapevole delle norme, dei ruoli, della gerarchia e consapevole della delicatezza della vicenda ho chiesto al 'capo' un incontro urgente per discutere 'diffusamente di una cosa tanto delicata quanto importante su cui stavo lavorando». Incontro atteso per una settimana intera e mai avvenuto. Quindi «ho esercitato la mia funzione di magistrato, autonomo e indipendente, soggetto solo alla Costituzione, alla legge, agli atti processuali e alla mia coscienza e il 31 marzo 2023 ho depositato l'atto. Domanda: chi è venuto meno ai propri doveri?».

La conclusione è molto aspra nei confronti del Csm. «Mi sembra evidente che il 'buffetto' della censura ben poco abbia a che fare con il diritto e la Giustizia, ma sia una decisione di 'politica giudiziaria per via disciplinare' volta a tutelare un sistema giudiziario ormai in decomposizione». «Assolvermi avrebbe delegittimato non solo i vertici del suo ufficio ma anche messo in pericolo la fallimentare politica delle nomine dominata dalla perversa correntocrazia che il cosiddetto 'scandalo Palamara' non ha minimamente scalfito».

Infine, «rifarei esattamente quello che ho fatto, orgoglioso di avere, anche in questo caso, esercitato il ministero di magistrato autonomo e indipendente, innanzitutto verso l'interno, prima ancora che verso l'esterno» e «tra pochi mesi andrò in pensione ci andrò senza nostalgia per un mondo che non sento più mio» in quanto «impregnato da invidie e gelosie» mentre «il successo non viene perdonato e il merito non viene riconosciuto».

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