Le querele temerarie ai giornalisti non sono un problema solo italiano, ma esistono ordinamenti più tutelanti del nostro nel dissuadere chi sceglie la strada dell’azione giudiziaria civile per inibire o intimorire, a partire dalla denuncia penale per diffamazione. In gergo questo tipo di azioni legali vengono chiamate Slapp – dall’acronimo coniato negli Stati Uniti di strategic lawsuit against public participation, ovvero causa strategica contro la pubblica partecipazione – e i numeri di queste azioni legali in Italia sono preoccupanti. Anche Domani ha ricevuto una richiesta di pagamento di 100.000 euro da parte di Eni per un articolo sgradito, prima ancora di aver avviato una azione civile contro il giornale.

Secondo un report basato sui dati Istat e prodotto da Ossigeno per l’informazione, l’Osservatorio su informazioni giornalistiche e notizie oscurate, nel 2016 sono andate in decisione 9.039 querele sporte per articoli di stampa: le archiviazioni sono state 6.317, pari al 69,88 per cento. L’azione penale è iniziata in 2.722 casi, pari al 30,12 per cento. Nel 2016 i condannati con sentenza irrevocabile sono stati 287. In pratica, due terzi delle querele sono del tutto infondate e in meno del 10 per cento dei casi il giudizio prosegue per accertare la responsabilità.

Uno studio comparato del Resource centre on media freedom in Europe del 2017, infatti, mostra come le regioni Ocse applichino in modo diverso le leggi a tutela dei giornalisti: «Le leggi penali sulla diffamazione continuano ad essere applicate con una certa regolarità nella zona Osce, anche contro i mezzi di comunicazione. Zone particolarmente problematiche restano l’Europa meridionale (specialmente la Grecia, l’Italia, il Portogallo e la Turchia), l’Europa centrale (specialmente l’Ungheria), l’Asia Centrale e l’Azerbaijan, anche se saltuari arresti di giornalisti continuano ad avvenire in Paesi tipicamente considerati forti difensori della libertà di stampa, quali Danimarca, Germania e Svizzera».

Onu e Ue

Sul tema della libertà di stampa e della sua difesa sono intervenute le Nazioni Unite, sottolineando l’obbligo degli stati di promuovere l’esercizio dei diritti e l’assicurazione di un giusto processo, «proteggendo i cittadini da cause civili prive di fondamento», si legge in un documento del 2016 dell’Onu. Anche il parlamento europeo ha sottolineato in più risoluzioni la necessità di «proporre una direttiva anti-Slapp che protegga i media indipendenti da azioni legali vessatorie» e ha invitato la Commissione e gli stati membri a presentare proposte per la protezione dei giornalisti, tuttavia la questione è ancora aperta, nonostante il finanziamento di diversi progetti europei di monitoraggio e difesa della libertà di stampa. Inoltre, armonizzare i diversi ordinamenti è complicato, soprattutto sul piano del diritto civile.

Paesi scandinavi

Interessante è il caso di Danimarca e Svezia, raccontato dall’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, che nel 2019 ha partecipato a una missione per indagare le best practices dei paesi scandinavi. In questi paesi, infatti, salta agli occhi la quasi totale assenza di casi e di minacce di Slapp, nonostante sussista il reato di diffamazione e la pena del carcere nei casi più gravi. Secondo gli interlocutori scandinavi, composti da giornalisti, sindacalisti e giuristi, i deterrenti contro l’abuso di querele temerarie sarebbero due caratteristiche insite ai sistemi legali, costituzionali e sociali. Secondo il report, infatti, in entrambi i paesi «nei pochi casi affrontati in tribunale l’esito è quasi sempre a favore del giornalista; inoltre, la questione ha anche un risvolto reputazionale: querelare un giornalista semplicemente non sta bene, non si fa, è qualcosa di cui ci si dovrebbe vergognare». In aggiunta, nei rispettivi codici civili «i risarcimenti per danni alla reputazione sono molto bassi: oltre ad essere sconvenienti sotto il profilo sociale, quindi, le cause contro i giornalisti non convengono affatto sotto il profilo economico, le spese sono alte e gli eventuali danni invece molto bassi. E se i danni sono bassi, viene meno anche l’effetto raggelante dei risarcimenti esorbitanti, per cui la minaccia di una querela perde tutto il suo potenziale intimidatorio». Evidentemente si tratta di una sorta di deterrenza a priori difficilmente esportabile, a meno che anche in Italia non si sviluppi un dibattito pubblico che porti a considerare “socialmente riprovevole” l’attacco alla libertà di stampa.

America e Canada

Negli Stati Uniti, dove l’acronimo Slapp è stato coniato e dove vige un sistema di common law, la tutela per i giornalisti è maggiore rispetto ai paesi di civil law come l’Italia. Più di 30 stati americani hanno adottato leggi anti-Slapp, che offrono ai querelati un metodo quasi automatico per far archiviare in modo rapido le querele prive di fondamento, appellandosi al primo emendamento della Costituzione, che tutela la libertà di stampa e di parola. Queste previsioni servono a neutralizzare alla radice il problema: invece che prevedere eventuali risarcimenti successivi, impediscono che la controversia produca cause anche molto lunghe, i cui costi diventano principalmente quelli legali, che producono quello che, in un report dell’associazione Reporters committee for freedom of the press, viene chiamato «effetto paralizzante sulla libertà di parola».

In Canada, invece, tre province hanno approvato delle leggi anti-Slapp, molto diverse tra loro. La più efficace è considerata quella della British Columbia, che accelera il procedimento di archiviazione delle querele che interferiscono con la libertà di espressione e prevede la possibilità per l’attore di venire condannato al pagamento dei cosiddetti “punitive damages”, ovvero i danni punitivi per aver intentato una causa temeraria. Questo tipo di legge, che neutralizza su due fronti – quello della celerità di archiviazione e della deterrenza dei danni punitivi – è probabilmente il più tutelante per i giornalisti e per la libertà di stampa come principio di democrazia.

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