Il ministero della Giustizia è un palazzo di veleni dove anche il più scaltro impara subito a guardarsi due volte le spalle. È quello che dovrà cominciare davvero a fare anche il guardasigilli Carlo Nordio, la cui scrivania è sempre più ingombra di pratiche – tra emergenze non gestite e provvedimenti arenati – e una testa in meno a gestire l’ufficio.

La scorsa settimana, infatti, si è conclusa con le dimissioni di quello che avrebbe dovuto essere il suo braccio destro, il capo di Gabinetto Alberto Rizzo.

È un addio tutt’altro che inatteso quello del magistrato, che lascia così i veleni della politica per sfruttare una finestra concessa dall’ultimo ritocco del governo Meloni alla riforma Cartabia e tornare in toga, aspirando a ricevere quanto prima un incarico direttivo dal Csm. Il vuoto, però, ha già aperto uno scontro per la successione.

Spera di vincerlo la sua attuale vice, Giusi Bartolozzi, che nel tempo ha costruito un rapporto privilegiato con Nordio e che le malelingue accusano di essere stata la principale causa delle dimissioni. Ex magistrata poco amata dentro il ministero per il suo spirito decisionista e accentratore, ma considerata da molti come la più capace di mandare avanti le pratiche.

La sua pregressa esperienza politica, infatti, le ha lasciato quello che secondo fonti ministeriali a Rizzo mancava: la capacità di prendere in mano le situazioni e decidere. Con la controindicazione, però, di aver fatto terra bruciata intorno a Nordio proprio in un momento in cui il ministro ha messo forse troppa carne al fuoco.

L’abuso d’ufficio

Il ministero della Giustizia, infatti, viene percepito come in stallo. Le grandi riforme annunciate forse con troppo entusiasmo nei molti interventi pubblici del ministro sono ancora lontane dalla realizzazione e quelle che sono incardinate hanno aperto voragini tra via Arenula e i magistrati, oltre a non aver messo d’accordo con convinzione nemmeno la maggioranza.

Quello in stato più avanzato è il cosiddetto ddl Nordio, che contiene in particolare l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Il testo è rimasto in stand-by otto mesi dal via libera estivo in consiglio dei ministri, è passato al Senato dopo una settimana di ostruzionismo delle opposizioni e problemi di calendario e ora è faticosamente arrivato alla Camera.

L’abrogazione, però, ha incontrato il muro dei magistrati: tutti contrari, pur con diversi gradi di intensità e con i conservatori di Magistratura indipendente che hanno stilato un documento autonomo rispetto a quello più duro approvato dall’Anm.

In settimana, infine, è arrivato anche il parere negativo del Csm. Inutile nei fatti, visto che è arrivato dopo che il testo è già passato ad una camera e la seconda lo ratificherà così com’è. «Non è colpa del Csm, ma dei ritardi con cui il ministero invia i testi per i pareri. La prossima volta sarà opportuno ragionare di non esprimerci nemmeno in queste condizioni» è il commento di una fonte del consiglio.

Se i magistrati sono in rivolta, nemmeno il centrodestra riesce del tutto a sorridere: l’abrogazione infatti dovrà avere come seguito una riscrittura dei reati contro la pubblica amministrazione, come da accordi con Giulia Bongiorno della Lega. Così da colmare il possibile profilo di incongruenza con le norme comunitarie che l’abrogazione crea. «Abbiamo in animo l'idea di rivedere il pacchetto di reati nella pa, respingendo la concezione secondo cui l'amministrazione è un luogo presunto di illegalità diffuse», ha confermato il viceministro Francesco Paolo Sisto a La7. Cancellare un reato è certamente più semplice, riscrivere in modo sistematico una parte delicata del codice penale sarà una sfida di cui non sono ancora chiari i contorni.

I provvedimenti in stallo

Se l’abuso d’ufficio è infine sul binario dell’approvazione. Il vero pasticcio del ministero si sta consumando sulle norme che riguardano i magistrati fuori ruolo. La riforma Cartabia prevedeva di diminuirne il numero, i decreti attuativi però sembrano andare in direzione opposta disattendendo la delega.

In concreto, però, tutto è fermo, esattamente come anche la parte di delega di riforma dell’ordinamento giudiziario che contiene le novità in materia di valutazione di professionalità.

Da due mesi, infatti, nulla si sta muovendo in commissione Giustizia alla Camera e addirittura a chiedere il rinvio della seduta in settimana è stato il governo, ovvero il soggetto che ha redatto gli atti su cui la commissione è chiamata ad esprimersi. «Uno stallo indecente, non sanno che pesci pigliare», ha detto il deputato di Azione Enrico Costa, che è il guardiano più attento dell’operato di Nordio.

In stallo, però, sono anche altre nuove introduzioni della riforma Cartabia che proprio non riescono a prendere forma. Il primo e più determinante per il lavoro di tutti i giorni nei palazzi di giustizia è il processo penale telematico, continuamente rinviato perchè l’applicativo ministeriale ancora non è in grado di gestire senza intoppi il flusso di materiale che deve transitare sui server degli uffici. Anche sui decreti attuativi della riforma civile ancora non ci sono segnali chiari.

Il cdm ha approvato un decreto legislativo, 8 articoli per circa 200 interventi complessivi, che corregge la riforma del processo civile Cartabia. Sulla carta dovrebbero chiarire dubbi interpretativi, correggere errori formali ma soprattutto «favorire l’impiego del rito semplificato di cognizione, con conseguente riduzione dei tempi del processo». Ora bisognerà vedere con che tempi arriverà in aula.

Lo stesso vale per la separazione delle carriere, sempre annunciata e per ora mai concretizzata e che certamente aprirà una crepa insanabile con la magistratura. La spinta arriva soprattutto da Forza Italia, che vorrebbe chiedere nella prossima conferenza dei capigruppo della Camera di calendarizzare direttamente in Aula l'esame del testo costituzionale già in marzo, mentre il governo preferirebbe frenare per non aprire un nuovo fronte di scontro.

In commissione al Senato, infine, giace da mesi anche un disegno di legge sul sequestro dei cellulari, che ha avuto un improvviso risveglio con un emendamento voluto dall’esecutivo e depositato dal relatore Sergio Rastrelli di FdI, che prevede il via libera obbligatorio del gip alla richiesta del pm, vista l’invasività del sequestro di uno strumento che contiene molti dati sensibili.

Carcere

Il vero grande buco nero, però, rimangono le carceri. Sovraffollamento ormai conclamato e quasi due suicidi al giorno sono i dati con cui il ministero deve fare i conti. Ma senza aver ancora messo in campo soluzioni, se non un primo timido inizio di individuazione di caserme dismesse da adibire a carceri.

«Abbiamo investito 255 milioni per l'edilizia penitenziaria, e con le assunzioni di uomini e donne della polizia penitenziaria», ha detto il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Intanto, però, i numeri rimangono inclementi e sono stati forniti dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero, Giovanni Russo: con 60.814 detenuti, salito dell’8 per cento, con 400 in più al mese e dei 19 suicidi da inizio anno, «10 su 19 erano in custodia cautelare» ha detto in audizione alla Camera. Audito nelle scorse settimane, aveva manifestato tutta l’impotenza davanti all’aumento dei detenuti che si tolgono la vita: «La tendenza al rialzo per noi è abbastanza inspiegabile rispetto ai dati di cui disponiamo».

Un’impotenza, quella del Dap, che sembra riflettersi su tutta via Arenula. Tanto che le elezioni europee hanno già messo in fibrillazione i più attenti. La premier Giorgia Meloni, infatti, potrebbe utilizzare la tornata elettorale come espediente per programmare un rimpasto nel governo. Se alcuni ministri si candidassero – le ipotesi riguardano soprattutto Francesco Lollobrigida e Raffaele Fitto, ma la lista potrebbe allungarsi – la squadra andrà aggiornata e potrebbe essere l’occasione per cambiare anche qualche altra casella e «anche quella occupata da Nordio non è più così salda», dice una fonte ministeriale.

Immutata la stima della premier, lei si sarebbe però resa conto del fatto che la mancanza di esperienza gestionale pesa in un ministero di quella portata e anche l’addio di Rizzo dimostra il clima in cui si lavora. La tentazione di un cambio, quindi, è forte e il nome non potrebbe che essere interno a Fratelli d’Italia. Il più automatico sarebbe quello del sottosegretario Alfredo Mantovano, ma il suo ruolo come autorità delegata ai servizi è davvero inamovibile.

Il problema della carenza di classe dirigente lascia ancora ogni ipotesi nel mondo della fantapolitica, ma la tentazione ci sarebbe.

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