Leggo che il dottor Luca Bernardo, stimato pediatra e candidato sindaco di Milano per il centro-destra ha il porto d’armi per difesa personale e porta la pistola anche all’interno delle mura ospedaliere. La prima immagine che mi viene alla mente è quella di lui, con il faccione bonario e il fonendoscopio al collo, che gira tra i letti con il cinturone sotto il camice. Scaccio subito i cattivi pensieri, vergognandomi. In fondo il collega ha già chiarito che quando è in ospedale tiene la pistola sotto chiave e non la porta mai in corsia. Penso allora che debba avere subìto minacce davvero pesanti per ricorrere ad una misura precauzionale così estrema. Mi domando come ho potuto esercitare per tanti anni questa pericolosa professione senza rendermi conto dei rischi ai quali mi esponevo.

Abituato a ragionare sulla base di dati concreti mi documento. Su di un numero del 2015 di Rivista di psichiatria, uno dei piú antichi fogli di approfondimento psichiatrico del nostro paese, trovo dati interessanti pubblicati dal dipartimento di Medicina forense dell’Università di Sassari. In Italia i medici assassinati in ambito professionale tra il 1988 e il 2013 sono stati 18, meno di uno all’anno, dei quali la metà erano psichiatri. Non risultano pediatri. Nel solo 2020 sono stati 324 i medici morti perché infetti da Covid-19. Non avevano fucili da imbracciare, ma non si sono barricati in casa. Hanno svolto coraggiosamente il proprio lavoro consci che il nostro mestiere (la nostra missione?) ci può costringere a correre qualche rischio. Lo sapevano anche i tre colleghi di “Medici senza frontiere” che sono stati assassinati recentemente in Tigrai e che, a differenza del dottor Bernardo negli infidi corridoi dell’ospedale Fatebenefratelli, non giravano armati.

Resto ancora più sorpreso quando, chiamato a rispondere alle critiche, il dottor Bernardo afferma che la maggior parte dei medici italiani avrebbe il porto d’armi. Torno a documentarmi e trovo dati europei del 2013 (riportati dal Sole 24 ore del 29 marzo 2019) dai quali risulta che in Italia circolano circa sette milioni di armi da fuoco, delle quali solo l’8 per cento (circa 500mila dunque) per difesa personale. Poiché i medici italiani sono poco più di 400mila (oltre la metà sono donne), questo porta a concludere che la quasi totalità delle armi da difesa in circolazione siano nelle mani dei pronipoti di Ippocrate. E i gioiellieri, i baristi, i piccoli imprenditori che sono assurti all’onore delle cronache per aver sparato a ladri e rapinatori? Dove hanno trovato le armi? Forse le avevano chieste in prestito a un cliente neurochirurgo o a un amica anestesista.

Leggo ancora e cerco conforto nella dichiarazione di Ginevra rilasciata dalla World medical association nel 1948 e aggiornata l’ultima volta nel 2006. Tra i doveri dei medici trovo scritto «Manterrò il massimo rispetto per la vita umana». Mi sento un po’ meglio.

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