Dopo le elezioni politiche del 25 settembre, con Domani abbiamo lanciato una campagna per “chiudere il Pd per salvare la sinistra”, dichiarare fallito l’esperimento e lasciare che nuove forze riempiano uno spazio occupato da un partito troppo piccolo per vincere e troppo grande per far crescere gli altri.

Gli elettori del centrosinistra lo hanno fatto con il voto delle primarie di domenica 26 febbraio: hanno chiuso la storia del Pd durata quindici anni nel tentativo, forse disperato forse utopico, di rilanciare la sinistra.  

Il tema non è soltanto chi ha vinto, ma come e perché ha vinto. Elly Schlein ha ancora molto da dimostrare, è giovane e incarna valori e promesse più contemporanee dei suoi tanti predecessori, ma la sua esperienza di governo e di leadership è scarsa e la sua campagna per le primarie si è fondata su accordi con la classe dirigente che un tempo contestava, da Dario Franceschini in giù.

La vittoria di Elly Schlein è però già un fatto politico di prima grandezza, dalle conseguenze rilevanti a prescindere da come la nuova segretaria interpreterà il suo mandato. I partecipanti ai gazebo, domenica, hanno ribaltato il voto degli iscritti che avevano scelto Stefano Bonaccini con il 53 per cento.

Questo è successo perché, come ricorda nel suo articolo Federico Fornaro, gli iscritti sono stati soltanto il 6,6 per cento dei votanti alle primarie, la metà che i 12,6 per cento del 2019. Gli elettori del centrosinistra hanno sottratto il partito ai suoi dirigenti – o almeno a una parte di essi – e ai suoi militanti.

Per recuperare la nota citazione di Nanni Moretti del 2002, hanno sancito col voto che «con questi dirigenti non vinceremo ma» ma anche che «con questi militanti perderemo sempre».

In assenza di una forza politica alternativa credibile nella quale riparare, parecchie decine di migliaia di elettori si sono prima rifugiati nell’astensione e poi, alla prima occasione, hanno tolto il partito ai suoi piccoli e grandi azionisti e lo hanno consegnato a una perfetta sconosciuta che però ha come principale caratteristica di non appartenere a quella storia di clientele, compromessi e sconfitte.

Hanno perfettamente ragione i politologi che dicono che le primarie aperte di un partito sono una follia: è un po’ come se a un’assemblea di condominio potesse votare tutto il quartiere, o se a un’assemblea degli azionisti le decisioni venissero prese anche dai passanti o dai soci dei concorrenti.

Forse la marcescente organizzazione del Pd ha espresso, magari a livello inconscio, chissà, un desiderio di dissoluzione che si è manifestato nell’attuale procedura di scelta del segretario: primarie nei circoli per scegliere i due sfidanti per le primarie ai gazebo.

Col risultato di incoraggiare il candidato più debole, l’underdog, a cercarsi una base fuori dal partito per compensare la forza relativa dell’avversario favorito, in questo caso Stefano Bonaccini.

Molti degli elettori alle primarie non volevano rilanciare il Pd che hanno conosciuto fin qui, volevano spazzarlo via.

 In qualche modo ci sono riusciti, perché adesso sarà molto difficile tornare indietro, a procedure che avrebbero il chiaro e unico scopo di rendere le cariche apicali non contendibili. E chi dovrebbe essere, poi, a innestare la retromarcia visto che in questo momento un po’ tutti sono delegittimati?

I dirigenti sconfitti, certo, ma anche quelli vincenti. Perché sarebbe veramente surreale pensare che il successo di Elly Schlein sia il prodotto della scelta degli elettori non iscritti di appoggiare dirigenti privi di consenso nel paese fuori dalle dinamiche di partito, tipo Goffredo Bettini.

Il Pd ha smesso di essere un partito ed è diventato un movimento perché il suo vertice non risponde più alla base e alle strutture, ma ha una legittimazione interna, analoga a quella di Romano Prodi che nel 2005 ha fatto ricorso alle primarie proprio per costruirsi una forza autonoma e in opposizione a quella dei partiti che componevano la sua coalizione elettorale.

La finestra di opportunità 

Tutto questo è una buona notizia? Di sicuro si è aperta una finestra di opportunità per salvare il Pd da una deriva che pareva senza ritorno. Molto adesso dipenderà da come Elly Schlein interpreterà il mandato ricevuto e da quanta voglia di partecipare davvero hanno i tanti non iscritti che hanno determinato il destino del Pd.

Su Twitter qualcuno ha proposto: chi ha votato Schlein senza essere iscritto al Pd ora dovrebbe prendere la tessera e impegnarsi, perché la democrazia non è partecipazione soltanto il giorno del voto. 

Elly Schlein non ha certo vinto da sola, quindi neppure potrà fare opposizione alle destre e provare a vincere le elezioni senza un supporto diffuso.

© Riproduzione riservata