«Voglio morire a casa»: dell’ultima richiesta del principe Filippo sua moglie, la regina Elisabetta II, si è fatta affettuosa e irremovibile garante, vietando al complesso e potente universo che ruota attorno alla Royal Family di riportare Filippo in ospedale.

L’intenzione di segretari, assistenti e valletti era quella di far di tutto perché Filippo raggiungesse i 100 anni a giugno, o almeno il compleanno della regina ad aprile. Ma a Filippo non importava e voleva trascorrere i suoi ultimi momenti in casa, tra i suoi e le sue cose, gli affetti e le abitudini di una vita.

Quello che ha chiesto il principe lo vogliamo tutti: morire a casa e non in un letto di ospedale tra macchine, tubi ed estranei per quanto efficaci o dedicati. Una volta si moriva sempre così, a casa attorniati dalla famiglia.

La morte era una parte conosciuta e vicina della vita perché arrivava presto. Poi è cambiato tutto: i progressi della medicina hanno allungato la vita e l’hanno resa più resiliente e duratura.

Questa è la benedizione che noi moderni abbiamo ricevuto rispetto ai nostri predecessori: di tante malattie non si muore più e la vita si è allungata.

A black poppy is seen on the bonnet of a car after the death of Britain's Prince Philip in Windsor, Sunday, April 11, 2021. Britain's Prince Philip, the irascible and tough-minded husband of Queen Elizabeth II who spent more than seven decades supporting his wife in a role that mostly defined his life, died on Friday. (AP Photo/Frank Augstein)

Per contraccolpo la morte si è allontanata, è stata esiliata e rinchiusa negli ospedali, in mano agli specialisti. Non è più una realtà presente e “familiare” nella vita di tutti i giorni.

Gli psicologi dicono che è stata “rimossa” ed è divenuta un’estranea per tutti noi. Di conseguenza la conosciamo molto meno e ne abbiamo tutti più paura. Cerchiamo di evitarla il più possibile, così come cerchiamo di schivare tutto ciò che la ricorda e che ce la rende insopportabile: le malattie croniche, le menomazioni, le disabilità, le invalidità o le minorazioni.

Aver rimosso la morte dalla vita quotidiana per riflesso ha lasciato nel nostro immaginario una sola forma di vita considerata “degna di essere vissuta”: quella in buona salute, autosufficiente. Tutte le altre vite sembrano non avere lo stesso valore.

Ciò vale in particolare nei confronti degli anziani, in specie i non autosufficienti. Per confermare la rimozione dalla nostra vita della morte e di tutte le vite che le assomigliano troppo, la anticipiamo aumentando le occasione di isolamento come gli ospice o le RSA tanto dibattute in questo giornale.

Meglio isolare i morenti al più presto per lasciar liberi gli altri… o anche semplicemente separare malati e vecchi sempre più soli.

La richiesta del principe Filippo ci ricorda che è un diritto di tutti morire in casa, come anche invecchiare.

Non basta dirci che per le famiglie il peso è troppo grosso e solo la Royal può permetterselo. In primis è una pietosa bugia: le generazioni precedenti non erano certo più ricche né avevano case più grandi, eppure si tenevano i vecchi a casa.

In secondo luogo nasconde l’idea di fare (per quanto umanamente) anche della vecchiaia un business, come di tanto altro: è il portato della mentalità mercatista liberale.

Se la nostra società volesse davvero aiutare le famiglie troverebbe metodi più umani (esistono già) per sostenerle senza che debbano disfarsi dei propri anziani.

Inutile rispondere che ci sono esigenze sociali, impossibilità abitative, tracolli psicologici ecc... La verità è che stiamo costruendo una società a circolo vizioso che ci autolimita.

Diventiamo tutti meno propensi ad accettare una realtà della vita che comunque prima o poi arriva. In questi mesi di Covid, quanti anziani stiamo lasciando morire da soli? Ha ragione il principe Filippo. Lui ha potuto permetterselo: la nostra lotta deve renderlo possibile a tutti.

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