Per Arianna Meloni l’iniziativa degli attivisti è «vergognosa» perché «strumentalizza i morti». Per Giorgia Meloni si tratta di una missione politica, nel senso dispregiativo del termine. È su quest’ultimo aspetto che conviene soffermarsi. La Flotilla è un’iniziativa politica perché fa l’esatto opposto del nostro governo, tra i più timidi e reticenti sul massacro a Gaza
Ha provveduto la sorella Arianna a dare voce al più vero sentimento, genuinamente ostile, di Meloni verso Flotilla, una missione tra le più partecipate della società civile internazionale in soccorso di Gaza, missione circondata dal solidale apprezzamento di larga parte dell’opinione pubblica mondiale.
Un solo esempio: quello del sostegno forte e risoluto dei camalli di Genova quando salparono da quel porto. Missione che, incredibilmente, secondo la sorella della sorella d’Italia, sarebbe «vergognosa» in quanto «strumentalizza i morti di Gaza».
In verità già la premier si era espressa con accenti malmostosi quando fu richiesto di ottemperare al dovere istituzionale di assicurare protezione ai connazionali impegnati in quella missione. Circa la protezione, garantì il minimo sindacale, aggiungendo parole non proprio carine: che vi sono modi alternativi e meno esposti a rischio di prestare soccorso, che si trattava di missione politica (intesa come divisiva e di parte), che, nel caso, lo Stato sarebbe stato caricato di costi.
Non esattamente un atteggiamento simpatetico. Non una disposizione di spirito conforme a chi si proclama donna, madre e cristiana a fronte dello sterminio di civili e, segnatamente, di minori a Gaza.
Merita in particolare indugiare sull’asserito carattere “politico” di Flotilla secondo un’accezione polemica. Cioè in chiave spregiativa. E invece il connotato politico di Flotilla è da rimarcare nella sua accezione più alta e più nobile, come ha argomentato con finezza su queste pagine Giorgia Serughetti.
Sotto più di un profilo. Come un gesto e una testimonianza che riscatta la politica dalla ignavia e dalla inerzia di chi più di altri, ovvero i governi, dovrebbe dare prova di attiva responsabilità; che concepisce e pratica una politica che non ignora principi di giustizia e di umanità; che “sceglie”, che “prende parte”, che non indulge alla pavidità verso i prevaricatori ma si schiera dalla parte delle vittime.
L’esatto opposto del nostro governo, tra i più timidi e reticenti nelle parole e tanto più nei comportamenti. I cui pochi e marginali atti umanitari hanno un sapore “cosmetico”: a fatica occultano le molteplici omissioni politiche. Specie nelle sedi internazionali ove esso si è segnalato per il rifiuto sistematico di avallare concrete sanzioni al governo di Netanyahu. Si spiega anche così la suscettibilità del nostro ministro degli esteri in reazione alle fondate critiche di chi ne segnala la manifesta inazione. Un classico di chi ha la coda di paglia.
Effettivamente “politica” è dunque Flotilla. Non mera missione simbolica e umanitaria. Definendola così se ne sminuisce la portata. Si fa torto a ideatori e partecipanti, perfettamente consapevoli dei grandi rischi che corrono proprio perché rapportati al valore politico del proprio gesto.
È di tutta evidenza che gli aiuti umanitari raccolti su quelle imbarcazioni sono una goccia nell’oceano, che non è quello il cuore dell’impresa. Ma appunto una sfida politica all’inerzia della comunità internazionale, un gesto che mira ad affermare, riscattandone la missione alta e tuttavia negletta, della politica e del diritto di chi ne sarebbe titolare. Uno schiaffo sonoro a chi si rassegna all’impotenza. I quali, politica e diritto, come ammoniva Sant’Agostino, quando recidono il loro nesso con la giustizia, degenerano a “banda di ladri”.
© Riproduzione riservata



