Manuela è rumena, fa la badante e la prostituta. Ha lasciato una bimba piccola a Bucarest e i soldi non bastano. Elisabetta, moldava, si prende cura di Elvira, 97 anni, e non la lascia neppure quando si ammala di Covid. Anche Lila è moldava. È partita un mattino, era dicembre, i suoi due bambini dormivano nei loro letti, li ha baciati, ha chiuso la porta. Li ha rivisti dopo undici anni.

Se vi voltate in questo momento li vedete, gli sfruttati. Stanno nelle nostre case, negli alberghi, negli ospedali, nei campi, nelle vigne, nei cantieri, a nord come a sud. Puliscono le camere, danno da mangiare agli anziani, realizzano gli scafi delle navi da crociera, spaccano la pietra di Luserna, lavorano nei macelli, portano la pizza a casa, raccolgono l’uva dei nostri vini di eccellenza. Uomini e donne senza diritti, che mandano avanti gran parte della nostra economia.

Se vi voltate vedete pure gli sfruttatori. Antonio è un napoletano gentile, maestro in pensione. Per curare la madre ha venduto la casa di famiglia, perché la retta nella casa di cura costava troppo. L’unica soluzione alla fine è stata una badante in nero, da pagare poco per pretendere anche poco. Caterina ha 72 anni, è vedova, al supermercato valuta le offerte, l’ananas a un centesimo al pezzo, ad esempio, che significa 0,008 centesimi al chilogrammo. Si chiede come sia possibile, certo, ma pure lei – si dice – non arriva a fine mese. Stefania è di Torino, separata, due figli. Per lei la badante era un costo insostenibile: o la pagava pochissimo o restava a casa lei dal lavoro. Pensavate che gli sfruttatori fossero solo caporali senza scrupoli e aziende spregiudicate? Credevate di essere innocenti, di non c’entrare nulla con le vite misere di molte persone? E invece.

Siamo tutti parte del sistema

Noi schiavisti, il libro che ho scritto per Laterza, nasce dal desiderio di raccontare una realtà sfaccettata, in cui i ruoli di vittima e carnefice, di sfruttati e sfruttatori, non sono assegnati d’ufficio. Nasce dall’intenzione di raccontare un sistema, accettato da tutti, di cui siamo parte. Non siamo innocenti se migliaia di persone in Italia prendono una manciata di euro l’ora in nero, lavorano dall’alba al tramonto, una volta su due vengono reclutati da finte cooperative o società di intermediazione, che applicano loro contratti minori, aggirando quelli di categoria, se non hanno ferie, malattia, pochi diritti, molti doveri.

Certo ci sono alcune aziende che se ne approfittano e c’è il caporalato. Ma non solo. Il sistema sta in piedi perché ci sono ispettori del lavoro e sindacalisti appassionati, ma ci sono anche ispettori assenti e sindacalisti compiacenti. A fianco a professionisti seri ci sono commercialisti e avvocati che offrono alle aziende gli strumenti per aggirare i contratti. Ci sono soprattutto false cooperative, che di cooperativo non hanno proprio nulla, che servono solo ad aggirare lo Statuto dei Lavoratori, ad applicare contratti in subappalto, con meno diritti e meno tutele. È un sistema diffuso, radicato, generalmente accettato. Tanto che un domani dire che non lo sapevamo non è possibile.

La para-schiavitù degli immigrati è sotto gli occhi di tutti: è nelle baraccopoli del sud, ma anche nelle cooperative del nord, entra nelle nostre case, nei nostri uffici, negli ospedali, nelle case di cura, nei cantieri. Al meccanismo partecipano anche molti lavoratori stranieri, che dopo essere stati sfruttati per anni hanno capito come funziona il gioco e iniziano a sfruttare loro stessi gli altri lavoratori, fondano una cooperativa o una srl, diventano caporali o padroncini e replicano il modello che noi abbiamo insegnato loro. Succede nelle campagne di Mondragone e Latina, ma anche a Porto Marghera e a Monfalcone, dove c’è bisogno di operai a basso costo per i cantieri navali di una azienda di stato, la Fincantieri. Del sistema fanno parte anche lavoratori stranieri che accettano di rovinarsi la salute, assumendo antidolorifici e droghe, per sostenere ritmi di lavoro non umani, che accettano paghe bassissime perché non conoscono i loro diritti oppure hanno paura di perdere il posto e il permesso di soggiorno. Come Kalu Singh, che si nasconde nel container quando arriva l’ispettore del lavoro e mastica oppio per sopportare la fatica.

Gli italiani travolti

È un meccanismo che stritola anche i lavoratori italiani, che non sono disponibili ad accettare di lavorare a questi ritmi e con questi contratti, non perché sono “choosy”, troppo esigenti e capricciosi, come disse una volta una politica italiana, ma perché quei ritmi e quei contratti sono disumani.

Se credete che questo sia un tema solo italiano vi sbagliate. Purtroppo è una situazione diffusa in Europa.

La stessa legislazione Ue non sembra voler ostacolare la possibilità che le aziende si avvalgano di manovalanza a basso costo. La Politica agricola comune (Pac) dell'Unione europea - la maggiore fonte di sovvenzioni al mondo – che ha lo scopo di sostenere gli agricoltori europei e immette nel settore circa 60 miliardi di euro l'anno non ha vincolato fino ad oggi le aziende agricole a un patto etico. I cantieri navali di tutto il mondo vedono replicato il sistema di subappalto e di carenza di diritti che esiste in Italia. Ci sono paesi modello che in certi settori sono anche modello di sfruttamento come Germania, che ha la leadership nella lavorazione delle carni industriali in Europa e ha anche la leadership dello sfruttamento dei lavoratori del settore. Poi ci sono fenomeni transnazionali, come quello del food delivery e della logistica, che sono uguali in Italia come altrove. Al contrario ci sono settori in cui il nostro paese è una eccezione negativa.

Nei lavori di cura, per esempio. Le badanti, assolutamente fondamentali per la cura degli anziani, esistono solo da noi. E l’impossibilità di fare un concorso pubblico per un infermiere o medico senza cittadinanza (ma con laurea, abilitazione, iscrizione all’albo) non ha eguali negli altri paesi europei.

In questo meccanismo chi non ha diritti, chi non ha cittadinanza, è lo sfruttato ideale, perché è un cittadino di serie B che non può rivendicare nulla. La parte politica che sosteneva i “porti chiusi” non è interessata a governare il fenomeno.

L’altra parte politica, quella dell’accoglienza “senza se e senza ma”, ha un atteggiamento certamente più umano e più realistico, tuttavia se non gestisce il fenomeno con nuovi diritti (lo ius soli per le nuove generazioni, ad esempio, giace in parlamento nell’indifferenza generale da anni) e sradicando gli abusi e le distorsioni (il fenomeno del subappalto, delle cooperative fittizie, le aste al doppio ribasso, la filiera lnga) abdica ai suoi valori.

La politica è distratta e preferisce discutere per giorni su un’ora in più o in meno di coprifuoco, piuttosto che di un bracciante al quale hanno sparato al volto da un Suv e che per questo ha perso un occhio.

È accaduto a Foggia il 26 aprile, ma se ne sono accorti in pochi. Sorge il sospetto che questo sistema faccia comodo, che vada bene a tutti, anche se nessuno è davvero libero se intorno a lui ci sono degli schiavi.


Valentina Furlanetto è autrice del libro Noi schiavisti, edito da Laterza

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