I registi dell'Ops sono i gruppi del Vecchio (occhialeria e finanza) e Caltagirone (costruzioni e finanza), da anni uniti nelle critiche a Mediobanca - ove detengono il 28 per cento - e a Generali, da questa in sostanza controllata col 13 per cento del capitale
Parte a sorpresa l'Ops di Mps su Mediobanca. È un'operazione di mercato, ma ha l'assenso, se non la contro-firma, del governo, informato per la sua quota dell'11 per cento in Mps. Il mercato per ora pare bocciare l'Ops, che non è concordata fra le parti; sale l'azione Mediobanca di oltre il 7 per cento, premio offerto da Mps, che invece scende. Al di là di tale prima reazione, che giudizio dare del blitz, in base ai dati noti?
L'Ops mira a far nascere un conglomerato bancario e assicurativo su cui mancano essenziali dettagli, pur se di stazza forse insufficiente a competere con i rivali. In una nota Mps scrive di voler creare un «nuovo campione nazionale nel settore bancario italiano...al terzo posto nei segmenti di business chiave, attraverso la combinazione industriale della banca commerciale di Mps, forte nel credito a famiglie e imprese, e della banca d’affari di Mediobanca, specializzata nella consulenza e nella gestione dei patrimoni».
Chiedo scusa per i dettagli, noiosi ma necessari. Mps vuol ingoiare un boccone più grande, Mediobanca, che sul mercato vale i 50 per cento in più. Pagherebbe, solo in nuove azioni Mps, un misero premio del 5 per cento; anche l'Opa lanciata a Novembre da Unicredit su Banco Bpm (Bpm) è solo per carta e riconosce solo 5 per cento più del mercato. Non è la sola circostanza che lega le due Opa. Unicredit vuole Bpm per rafforzarsi nel ricco Nord; rompe le uova nel paniere del governo, che su Bpm punta(va) per costruire un terzo polo più “nazionale”. Anche a questo mira l'Ops su Mediobanca. Essa intralcia quella di Unicredit su Banco Bpm, è un astuto aiuto a Bpm sotto Ops, che non viola la passivity rule.
I registi dell'Ops sono i gruppi del Vecchio (occhialeria e finanza) e Caltagirone (costruzioni e finanza), da anni uniti nelle critiche a Mediobanca - ove detengono il 28 per cento - e a Generali, da questa in sostanza controllata col 13 per cento del capitale. Vicino al governo, e da questo ascoltato, è Francesco Gaetano Caltagirone, che ha voluto nella legge “sulla competitività dei capitali” clausole sulla nomina del cda a lui gradite, ma sgradite al mercato per la loro complessità operativa. Egli detiene, sempre con Del Vecchio, il 17 per cento di Generali, quindi più della quota di Mediobanca nella compagnia; ciononostante i “due Cavalieri” han fallito fin qui gli assalti alla compagnia: sono stati sempre respinti dagli investitori internazionali, schierati con Mediobanca, fin qui retta da un fragile patto di consultazione fra altri azionisti.
Veniamo ora alle prime conclusioni. Nel caso di successo, Del Vecchio e Caltagirone espugnerebbero dopo anni di sforzi Mediobanca e, tramite questa, Generali. È questo il Sacro Graal degli immobiliaristi italiani, inutilmente sognato anche da un giovane e ardito costruttore; quando Silvio Berlusconi propose al presidente Cesare Merzagora di divenirne socio mirando a gestire gli investimenti immobiliari, fu congedato gelidamente.
Mps presenterà la documentazione sull'Opa a Banca Centrale Europea, Consob e Antitrust. La parola finale spetterà certo agli azionisti, ma c'è una fila di Opa già in pista, caratterizzate da fitti intrecci. Le Autorità dovranno decidere anche sull'Opa di Unicredit su Bpm e di questa su Anima, gestore di fondi comuni al cui capitale già partecipa; l'ordine di tempo delle decisioni complica la redazione del calendario e potrà determinarne l'esito. Prepariamoci ad una guerra a colpi di ricorsi e contro-ricorsi.
Consob deve ancora pronunciarsi sulle risposte alla consultazione già lanciata sulle procedure per la nomina del cda, in particolare sulla presentazione della lista da parte del cda uscente, non gradita, come s'è detto, a Caltagirone. Intanto un'amplissima commissione ministeriale sta riscrivendo, su delega parlamentare, il Testo Unico della Finanza, redatto fra il 1997 e il 1998 da una commissione avente analogo scopo. La presiedeva Mario Draghi, allora Direttore Generale del Tesoro; oggi la disponibilità del governo davanti alle aspettative di singoli attori di mercato desta legittime preoccupazioni. Queste scemerebbero se studiosi e operatori avessero visibilità sui suoi lavori, tuttora avvolti nella nebbia.
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