Ricordate Rachid Assarag? Il detenuto che per anni ha registrato i suoi aguzzini facendo emergere un quadro impietoso di alcune delle nostre carceri italiane. Violenze, torture (non c’era ancora la legge che la puniva), connivenze e depistaggi. Aveva fatto così tanto scalpore che venne disposta un’inchiesta ministeriale sulla quale il sottosegretario all Giustizia, Cosimo Ferri, venne chiamato a relazionare in parlamento. Nulla di fatto, ovviamente. Brillante fu l’idea di chiedere relazioni al personale interessato di tutti gli istituti di pena coinvolti.
Ma non vogliamo parlare di questo.
Vogliamo parlare del Garante regionale della Campania, dei magistrati in forza alla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere e dei carabinieri al loro servizio.
Vogliamo parlare di loro perché sono loro che, oggi, ci fanno avere ancora fiducia nelle istituzioni. Sono loro che danno splendente dimostrazione di quale sia il vero significato di un valore fondante la nostra democrazia: lo spirito di servizio in nome della Costituzione della Repubblica Italiana.

Lo stato non ascolta

Siamo in piena emergenza pandemica, il 5 aprile del 2020. Scoppia la protesta in numerose carceri italiane. Anche a Santa Maria Capua Vetere. Le condizioni di vita dei detenuti, già critiche, diventano drammatiche a causa della situazione sanitaria.
Lo stato non ascolta. Non comprende. Reagisce con la sola repressione violenta.
Il giorno successivo, 6 Aprile, l’istituto diventa teatro di pestaggi e torture sistematici. Organizzati. Ma lo stato ha anche i propri anticorpi che sanno ancora fare il loro mestiere.
Il Garante regionale dei detenuti, Samuele Ciambriello, sporge denuncia. La procura della Repubblica fa il suo dovere ed apre senza indugio alcuno un’ inchiesta per far luce su quegli indegni episodi. Così dev’essere.
Vengono disposte perquisizioni a tappeto a carico degli agenti che si trovavano in servizio il giorno delle torture. Il delicato e “ingrato” compito di eseguirle viene affidato all’Arma dei carabinieri che non si sottrae. I militari operano anch’essi in modo corretto ed efficace. Onorano il giuramento di fedeltà fatto al popolo italiano e vanno a meta. Vengono acquisti filmati documenti ed altro.
Tutto ciò che serve.
Ma l’infezione reagisce con forza cercando di mettere in crisi gli anticorpi. Lo stato non può ammettere di esser così cattivo da aver permesso le violenze denunciate. Non indugiamo qui sulla loro descrizione. Non serve.
È più facile negare e mettere ancora una volta tutta l’immondizia sotto il tappeto. Ecco allora che gli agenti della Penitenziaria salgono sui tetti dell’Istituto per metter in scena una plateale protesta osannando il sempre presente Salvini che scalda loro i cuori con le consuete perle di ignorante (nel senso di disinformata) saggezza.
I sindacati di polizia inveiscono persino contro magistrati e Carabinieri lamentando la lesione inaccettabile del dovuto fair play tra i due corpi dello stato. Il procuratore Generale di Napoli interviene pubblicamente rendendo noto di aver chiesto, «anche nella sua qualità di capo della polizia giudiziaria del distretto una dettagliata e sollecita relazione al procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere e ai vertici regionali dell’Arma dei Carabinieri per accertare» la veridicità di quanto riportato dagli articoli di stampa e denunciato da alcuni esponenti della penitenziaria.
Ne ha facoltà ma perché volerlo dire pubblicamente in un momento così delicato? Ma c’è un video.

La cronaca di oggi parla di 52 misure cautelari nei confronti di appartenenti al corpo della Polizia Penitenziaria. Misura interdetti a inflitta persino al provveditore Antonio Fullone. 117 indagati.
Il giudice parla di «orribile mattanza». Il procuratore aggiunto di violenza premeditata.
Gli anticorpi paiono avere la meglio ma le insidie di quell’infezione culturale che spesso attacca gli uomini delle nostre istituzioni inducendoli a perseguire un del tutto malinteso senso di autotutela, sono ancora pericolose.

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