Le immagini di personaggi folcloristici alle prese con Capitol Hill sono già il fuoco. È rimasta famosa la frase di Giolitti sul lasciar fare i fascisti a Napoli, prima della marcia su Roma: «Ma no, ma no. Vediamo cosa succede, poi se ne parla». Immagini che appaiono come l’annuncio di un tempo nuovo che bussa alle nostre porte. Settantaquattro milioni di americani hanno votato Donald Trump. Una parte consistente è certamente dalla parte degli assalitori. Sono suprematisti, razzisti, fascisti, amanti del terzo Reich e del senza tetto né legge (cioè senza tasse).

Una America profonda a cui Trump e le teorie complottiste alla QAnon hanno dato coraggio e visibilità. E ora sono in campo, vogliono dire la propria, senza alcuna mediazione con quelli che considerano nemici: Antifa, Blacks lives matter, il popolo democratico delle città, le cosiddette elites. Una America oscura, pericolosa, quella gemmata dal XIII emendamento che ha permesso di trasformare la fine della schiavitù nella politica ambigua e razzista della segregazione. Quella di The birth of a Nation di David Wark Griffith, il film del 1915 che ha fatto registrare tra i maggiori incassi della storia dove la parte dei buoni, degli eroi senza macchia e peccato è interpretata dai membri del Ku Klux Klan.

Più gli States si chiudono in un meccanismo isolazionista, più forte è la spinta dei cuori neri che compongono una parte della società nordamericana. L’aumento delle disuguaglianze, successive alla crisi del 2008, l’impoverimento, la povertà educativa, il racconto millenaristico di molte chiese evangeliche e il dark web hanno contribuito ad alimentare la paura e la ferocia dei bianchi orfani del sogno americano.

Molti osservatori indicano queste giornate come il crepuscolo violento di un uomo malvagio. Può darsi. Appare invece evidente il tentativo di Trump di inaugurare una nuova stagione della politica americana. Turbo liberismo da Stato minimo, razzismo, e approccio normativo sulle vite degli altri. Tutti gli altri. A partire dalle donne. Trump potrebbe lanciare, dentro la faglia di queste ore, un nuovo movimento anti sistema per dare rappresentanza all’America peggiore. Se così sarà sono destinati a finire nel mirino, non tanto i liberal, quanto i conservatori repubblicani. Nel mirino può finire il sistema dell’alternanza storica democratici-repubblicani e spingere verso una vera alternativa eversiva di sistema.

Questa attitudine a cercare consenso alimentando rotture e capri espiatori non vale solo negli Usa. Con le sue variabili il nazionalismo autoritario attraversa il mondo e mette a dura prova le democrazie occidentali. Con specificità nazionali, certo, ma con una narrazione che nutre le pulsioni e il disincanto di milioni di persone piegate dalla crisi economica, rimaste orfane di qualsivoglia sistema valoriale progressivo. Trump propone una visione del mondo: razzista, machista, omofoba, patriarcale, antiecologista, nemica dello stato di diritto e della libertà di stampa.

Questa ideologia attraversa anche la nostra società. Anzi è largamente maggioritaria tra gli strati più impoveriti della popolazione europea ed italiana. È una ideologia forte che dà identità a chi non possiede più nulla. L’Europa con un colpo di reni, con il Recovery e il coordinamento delle politiche continentali anti Covid ha, temporaneamente, messo all’angolo i sovranisti di casa nostra. Così ha fatto il premier Conte con il suo governo. Affrontando con coraggio e determinazione la fase più acuta della crisi pandemica.

Ora siamo al dunque. Discutiamo fino in fondo e con tutti il Piano nazionale di rinascita e resilienza. Con le forze politiche, sociali, sindacali, con gli intellettuali, gli attivisti e gli imprenditori, gli studenti. Arricchiamolo, cambiamolo, senza pigrizie. Ma dobbiamo fare in fretta, senza perdere altro tempo prezioso. Arrivare in parlamento dopo aver limato con pazienza le virgole. E votarlo.

Se ci sarà la maggioranza vorrà dire che si potrà siglare un patto di fine legislatura e avere davanti tre anni di lavoro per mettere in salvo il Paese e la democrazia. Se non ci sarà la maggioranza, sarà inevitabile tornare alle urne e, realisticamente, consegnare il Paese e la presidenza della Repubblica al polo nazionalista. Sicuramente poi ci batteremo e ritroveremo lo spirito partigiano e canteremo bella ciao e tutto il resto. Però delle due l’una. Non si può essere preoccupati per quello che accade negli Usa e consegnare il Paese chiavi in mano a quelli con la mascherina con su scritto Trump.

In questo tornante c’è qualcosa di più grave delle contese da cortile per la visibilità e la sopravvivenza politica. Proviamo a prenderci sul serio prendendo sul serio le pulsioni autoritarie che animano le destre contemporanee. Giolitti, in effetti, ebbe la possibilità di vedere come andò a finire. I parlamentari avranno l’onore di scegliere quale strada far prendere al Paese. La faticosa ricostruzione quotidiana o un’avventura dagli esiti imprevedibili. Si può scegliere cosa fare, ma non si può dire che non sia chiara la posta.

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