Mentre penso al senso che ha oggi la Giornata mondiale del coming out mi tornano in mente i preti con cui sono stato. Il primo all’inizio non sapevo lo fosse: avevo diciassette anni e abbiamo avuto un rapporto tra i tavoli del bar (chiuso) di un oratorio.

La mia educazione sessuale si è svolta completamente online, e siti e app d’incontri gay sono pieni di religiosi. Più di recente, dopo l’uscita del mio primo romanzo, ho iniziato a ricevere molti messaggi da parte di sacerdoti: fanno arrabbiare e commuovere queste biografie sotterranee e tragiche, così vicine alle radici di tutto quello che non va, parlando di relazioni e diritti, in questo paese.

Perché l’ostacolo più grande verso una cultura della visibilità e del rispetto è dato da qualcosa che va oltre il semplice odio: lo sfondo che sta dietro i discorsi dei tradizionalisti oggi al governo – tutti “il matrimonio è tra un uomo e una donna” e “giù le mani dai bambini” – viene dal magistero cattolico, ma la chiesa, il più grande laboratorio dell’ideologia omofobica, è anche l’immenso rifugio di omosessuali (più o meno) repressi che ben conosciamo.

Lo è al punto che si potrebbe parlare di lotta intestina nella comunità Lgbtqia+: omosessuali nascosti contro omosessuali manifesti, coi primi alleati della cultura dell’odio nell’oppressione dei secondi.

Un paese ipocrita

Il desiderio è una forza spesso più grande della volontà: il tasso altissimo di abusi e pedofilia (si recuperi l’ottimo podcast La bomba) tra vescovi e sacerdoti cattolici ne è la riprova. In un mondo che perseguita la differenza omosessuale la chiesa è da sempre sia il censore primo che il nascondiglio per chi prova a sublimare il suo desiderio vergognoso, o solo a garantirgli una serie di protezioni.

Se il coming out è la scelta di illuminare col linguaggio l’identità, per entrare nello spazio pubblico col rischio della propria anomalia, l’educazione di derivazione cattolica che permea questo paese va da sempre nella direzione opposta.

La cultura dei padri ci vuole repressi o caricaturali, macchiette o pedofili: la nostra vita sessuale, stigmatizzata nello spazio pubblico, al pari dei nostri legami affettivi, può diventare, è diventato, crimine privato, da tollerare e insabbiare. L’invito segreto risuona ancora oggi: nascondetevi e quasi tutto vi sarà perdonato, basta che non interferiate con le rappresentazioni ufficiali su cui poggia il potere.

Fa parte del nostro dna: più che un paese omofobo siamo un paese ipocrita, molle nel ricercare il piacere senza avere il coraggio di immaginare un nuovo mondo condiviso in grado di accogliere le variazioni al copione eterosessuale.

In nome del potere

Tutto questo è arbitrario ed egoista, infondato e generatore di enormi sofferenze, specie per chi sta crescendo e crede che sarà infelice per sempre: eppure nel 2023 l’oppressione tradizionalista gode di rinnovata salute, come dimostrano quotidianamente le iniziative di questo governo.

Il dispositivo del coming out, che lega insieme parola, identità e mondo, dovrebbe ricordarci allora che l’unico modo per trasformare una società retta dalle bugie è dire la verità più compromettente: quella che tutti fingono di non vedere.

A colpi di incarnazioni, ovvero storie offerte da volti e corpi precisi, costringere la comunità a fare i conti con le vite espulse senza ragione dal canone del sano e del giusto, condannate alla clandestinità da una retorica che, in nome del potere, è pronta a inventarsi una natura bigotta e un dio disumano, sensibile solo al tornaconto dei forti.

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