La scienza ha un ruolo importante nelle decisioni che politici e amministratori prendono, sia che venga utilizzata sia che venga ignorata: questo lo sanno bene tutti gli attori in campo, i decisori, i cittadini, i media. Purtroppo, pure essendo importante, spesso non ha un ruolo decisivo. Molte volte si sostiene che le decisioni vengono prese sulla base dei dati scientifici, come è successo di recente nel caso del Covid-19, su indicazione dell’apposito comitato scientifico, oppure che si prendono decisioni per rispondere a esigenze di aiuto economico o militare. Ma in ogni caso raramente vengono spiegati esattamente i dati scientifici utilizzati, o e i criteri extra scientifici che sono stati considerati.

Così facendo non solo si evita una comunicazione trasparente ma si perde l’opportunità di fare formazione, di educare al ragionamento, di alfabetizzare su materie che, pur complesse, riguardano la vita di tutti e possono essere spiegate a chiunque. A pensarci bene non è questo che è avvenuto nella recente pandemia?

È stato concesso campo libero a esperti “selezionati”, perché in linea con la corrente principale, attraenti, non sempre competenti. Si è persa così una grande occasione di fare comunicazione scientifica rigorosa per il grande pubblico. Nel prendere decisioni definite urgenti, impellenti o straordinarie, molto raramente viene dato conto al pubblico di quali sono gli effetti, se sono positivi o negativi, a favore di chi sono prese e chi interesseranno le conseguenze. L’urgenza entra in contrasto con la scienza, l’ineluttabilità di talune scelte diventa causa ed effetto, non discutibili e non mediabili.

Le decisioni di riaccendere le centrali a carbone, di incrementare estrazioni e prospezioni petrolifere in terra e in mare, di costruire nuovi grandi inceneritori, vengono presentate come scelte inevitabili motivate dalla fase di crisi, e in questo caso si evita del tutto di chiamare in causa l’evidenza scientifica perché, in tutta evidenza, giocherebbe a sfavore. Un sinonimo di inevitabile è irreparabile, che rende ancora meglio l’idea di conseguenze che si verificheranno in tempi non troppo lontani e che negli esempi sopra citati sono solidamente comprovate da tanti studi passati e recenti.

La crisi economica indubbiamente c’è, resa più acuta dalla crisi energetica, ambedue mordono oggi, mentre la crisi climatica, che sembrava al primo posto delle preoccupazioni fino a tre mesi or sono, perde di priorità: troppo grande per essere affrontata in tempi di crisi? Un “lusso” che non ci possiamo permettere? Che riguarda solo il futuro? Come sappiamo nessuna di queste affermazioni è sostenibile su base scientifica, poiché tutti i principali risultati vanno nella direzione opposta.

Il medio e lungo termine

Nessuna delle scelte “urgenti” sopra citate sarebbe fattibile ponendo come priorità delle decisioni la crisi climatica, i suoi impatti sull’ambiente e sulla salute e gli enormi costi che dovremo affrontare se non prendiamo misure radicali che, i dati scientifici dicono non essere rinviabili.

È facilmente dimostrabile un maggiore esborso per costi ambientali e sanitari rispetto all’entità delle manovre basate su “tamponamenti” una tantum, peraltro molto dispendiose, come quello recente di 200 euro come somma di ristoro ai redditi più bassi. Il tempo in questi casi è un fattore trascurato: gli effetti delle misure urgenti appaiono immediati, e non si pensa agli impatti negativi sul medio-lungo periodo.

Peccato che per la crisi climatica il tempo medio-lungo è diventato breve, e la scienza, che ne parla e lancia l’allarme, sarebbe molto più importante da considerare ma diventa molto ingombrante per la politica. L’asimmetria dell’uso della scienza, maggiore per scelte su Covid-19 e trascurabile per le scelte energetiche, è sotto gli occhi di tutti e sarebbe importante da approfondire.

Con la tripla crisi, pandemica-ecologica-bellica, passa in subordine la incompatibilità di molte decisioni con la lotta ai cambiamenti climatici, ma in questo modo viene chiesto implicitamente a tutti il grande sacrificio di ipotecare il futuro. Il sacrificio, poco o per niente evocato perché in politica è parola impopolare e quindi indesiderata, assume valore ancora maggiore pensando alle generazioni più giovani e a quelle future, come recentemente sancito dalla modifica dell’articolo 9 della nostra Costituzione.

In fondo, per evitare danni irreparabili all’ambiente e alla salute sarebbero accettabili proposte di rinunce materiali, ad esempio azioni di risparmio energetico, di mobilità sostenibile e di consumo insensato di suolo, ma dovrebbero essere inscritte in un quadro di condivisione di valori e beni comuni. Operazione tutt’altro che facile nella nostra società, ma da perseguire e da sostenere con un aumento delle conoscenze scientifiche e della capacità di agire sulla loro base.

Anche per la fine della guerra in Ucraina la motivazione di riprendere al più presto la strada della transizione ecologica dovrebbe avere un peso ben maggiore. Su tutto quanto detto, la scienza non può stancarsi di produrre e divulgare le proprie ragioni, perché per dirla con Calvino: «Il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali è una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni».

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