Dieci anni fa c’erano i Brics: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. La loro organizzazione comune annunciava un tempo nuovo in cui inattese potenze si stavano levando nel mondo. I paesi emergenti, come usavano dire gli occidentali, erano ormai emersi e volevano dire la loro. Poi sono venuti i Mint: Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia: originali protagonisti che stavano crescendo e avrebbero occupato la scena in un avvenire molto ravvicinato, se non già nel presente.

Ora è tutto finito o quasi: la pandemia ha fatto sprofondare tali nuovi attori in una crisi che rischia di durare. C’è una sola vera eccezione: la Cina. I motivi di tale regressione sono numerosi e non tutti economici. Ovviamente il restringersi del commercio globale e l’indebolirsi delle catene di valore o delle filiere internazionali ha inferto un colpo molto duro all’economia, specie in alcuni settori. Le filiere stesse stanno diventando regionali e questo non favorisce tanti paesi che avevano puntato tutto sul commercio estero di materie prime o di produzioni.

Se l’incapacità di produrre in casa tutto ciò che serve (si pensi alle mascherine o ai liquidi disinfettanti) colpisce i paesi occidentali, molto peggio avviene altrove. La volatilità dei prezzi e degli scambi energetici è un’altra ragione di nervosismo globale: in molti paesi si rivedono i tagli di corrente e penuria energetica con conseguenze devastanti su interi pezzi di produzione ma anche sui servizi pubblici, in particolare la sanità oggi messa sotto pressione ovunque a causa della pandemia.

Dovunque le regole di distanziamento e di separazione sociale introdotte ad inizio pandemia, mettono sotto scacco il mondo dell’educazione e della formazione: in numerosi paesi la chiusura della scuola sta proseguendo e siamo di fronte all’eventuale emersione di un’intera generazione perduta. Difficilmente tale gap potrà essere recuperato: in Italia ne abbiamo qualche esempio con l’aumento dell’abbandono scolastico e l’impossibilità di riassorbire i giovani Neet (not in employement education or training).

Tale fenomeno è molto più devastante in paesi dalla fragile struttura educativa che spesso è essenzialmente tutta privata. Esiste anche una preoccupante questione del debito estero di tante nazioni: da tempo la Cina non regala più ma presta e il debito estero dei paesi emergenti/emersi (salvo la Cina stessa) ha raggiunto il nuovo record di 36.000 miliardi di dollari Usa nel secondo trimestre 2021. La difficoltà di rimborsare mette in crisi molte monete nazionali come la lira turca ad esempio.

La regionalizzazione in corso (accelerata in certi casi dal decoupling Cina-Usa) esclude molti paesi dalla crescita globale anche in presenza di un forte rimbalzo mondiale. Di fatto ogni Stato sta cercando di rivedere le proprie classiche vie di approvvigionamento, diversificando laddove possibile ma non tutti sono in grado di farlo. Infine la crisi dei semiconduttori ha dimostrato che la competizione dell’innovazione tecnologica non conosce sosta anzi aumenta esponenzialmente.

Mentre con difficoltà molti paesi stanno tentando di uscire dalla pandemia, l’automatizzazione di vari settori va avanti con prepotenza causando perdita di posti di lavoro. L’India ad esempio deve confrontarsi allo stesso tempo con i disastri provocati dal Covid (inclusa la cattiva gestione sanitaria della crisi) e con la perdita di posti di lavoro nei settori di punta a causa della robotizzazione galoppante.

Squilibrio nei mercati

Secondo un rapporto di Bank of America l’industria informatica indiana perderà da qui all’anno prossimo 3 milioni di impieghi sugli attuali 16. Anche l’aumento dei prezzi agricoli causa impatti non indifferenti ai paesi emergenti o emersi: i costi di grano, orzo, soja, zucchero ecc. si sono gonfiati di circa il 20 per cento in un anno, creando uno squilibrio sui mercati nazionali dei paesi a reddito medio.

Tuttavia la cosa che colpisce di più è la carenza amministrativa e la mancanza di risposte istituzioni affidabili. Ciò che realmente emerge dalla pandemia è che paesi con gli Stati più resilienti, organizzati e capaci di essere presenti come una rete su tutto il territorio nazionale, se la cavano molto meglio in termini di contrasto socio-sanitario (come la cura e le campagne vaccinali) ma anche in termini di sostegno all’economia e sussidi alle classi in difficoltà.

I fatti contraddicono la teoria dello “stato leggero” tanto amata dai liberisti: più lo stato è pesante e meglio reagisce con efficacia. Malgrado le potenzialità economico-commerciali, ciò che serve in casi come questi è la presenza di una buona ed estesa rete amministrativo-istituzionale, in altre parole di uno Stato che funzioni. Non c’entra nemmeno il tasso di autoritarismo: molti Stati autoritari non stanno riuscendo a vaccinare le proprie popolazioni né ad alleviare la crisi interna. Tra gli ex emergenti soltanto la Cina fino ad ora ha mostrato la forza delle proprie istituzioni in senso allargato, ma si tratta di una superpotenza.

È ancora da vedere come Russia e Turchia riusciranno a rispondere in termini istituzionali alla pandemia e alle sue conseguenze in maniera completa ed estesa, ma già ora possiamo dire che Brasile e India invece sono state colte molto impreparate e non stanno riuscendo a rispondere convenientemente. Qualche mese prima del Covid la Colombia voleva entrare nell’Ocse ed ora è travolta; per non parlare di tanti altri paesi latino-americani come Messico o Argentina dove la pandemia sta sconvolgendo tutto.

Probabilmente si assisterà ad un aumento del tasso di povertà globale allontanando il raggiungimento degli obiettivi sostenibili, gli Sdg. Ci vorranno molti anni prima di invertire la rotta: paesi fragili dal punto di vista istituzionale avranno bisogno di molto tempo per rialzarsi e sarà necessaria una ri-nazionalizzazione laddove la sanità è stata troppo privatizzata. A dimostrazione che non è il potere assoluto a contare oggi si dimostra che un paese che funziona è un paese dove si occupa di tutta la popolazione senza dimenticare nessuno.

I declinisti che prevedono l’imminente crollo occidentale dovrebbero ricordare che un paese esiste realmente se ha a cuore i propri concittadini. Allo stesso modo la qualità di una democrazia si calcola in base a come tratta innanzi tutto i propri connazionali. In qualche modo la pandemia ha riportato in vita un mondo più nettamente diviso tra nord e sud. Ma l’ha fatto in retromarcia, andando all’indietro, e questo mette tutti davanti alle proprie responsabilità: se non ci sarà un’azione globale e solidale per combattere il virus, aumenteranno rancori e ostilità.

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