Troppo spesso la pandemia viene vista unicamente come un evento nefasto scollegato dall’opportunità di mettere in fase la ripresa dal Covid-19 con il contrasto al cambiamento climatico, un’opportunità unica per capire e agire di conseguenza. Questa impostazione offusca le possibilità di proteggere gli ecosistemi, creare economie sostenibili e migliorare la salute pubblica.

Il legame tra cambiamento climatico e salute pubblica è troppo trascurato e questo comporta una visione parziale o non approfondita, un po’ come il ciclope di Kant che non ha tanto il problema di vedere meno ma meno in profondità. L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), reso pubblico lo scorso 9 agosto, è dedicato alle basi scientifiche delle conoscenze del sistema climatico e del cambiamento climatico, a cura del primo dei tre gruppi di lavoro dell’Ipcc.

Gli altri due gruppi di lavoro dell’Ipcc, incentrati sugli impatti e su adattamento-vulnerabilità-mitigazione del cambiamento climatico, presenteranno un ulteriore rapporto nel 2022 (30 anni dopo il primo rapporto Ipcc), con informazioni su scenari regionali, essenziali per la valutazione dei rischi e la definizione delle politiche.

Influenza umana

Il rapporto appena uscito ha soprattutto l’importanza di aggiornare le conoscenze sull’influenza umana sul riscaldamento globale, ormai ritenute chiare ed inequivocabili.

Dal rapporto si ricavano due informazioni chiave, solo apparentemente in contrasto: da una parte è altamente probabile che entro 20 anni verrà raggiunto l’incremento di 1,5° C di riscaldamento, dall’altra c’è il ragionevole convincimento che la stabilizzazione sia ancora possibile, ma solo se si riduce drasticamente e velocemente l’emissione di CO2, metano e altri gas serra.

Anche sul legame tra cambiamento climatico e salute c’è un ampio e robusto corpo di letteratura scientifica, sia sugli impatti diretti, dovuti alla frequenza e intensità dei cambiamenti estremi (ondate di calore, incendi. siccità, inondazioni, tempeste), sia sugli impatti indiretti, attraverso i cambiamenti sugli ecosistemi (sulle malattie associate agli inquinamenti delle matrici ambientali, aria, acqua e suolo) e sui sistemi umani (denutrizione, salute mentale, anche a seguito di migrazioni e conflitti).

Basta pensare all’aria più pulita, a diete più sane, a città più vivibili, ma anche alla prevenzione dei fattori di rischio di malattie infettive, e quindi di altre pandemie, per rendersi conto di come e quanto azioni efficaci contro il cambiamento climatico potrebbero portare enormi benefici per la salute umana, vista come unicum con la salute animale e ambientale (approccio One-Health). Se da una parte sono ben noti i legami tra inquinamento atmosferico e malattie tumorali, cardiorespiratorie, obesità, diabete, va detto anche che sono trascurati i contributi che le azioni su clima e ambiente potrebbero portare in termini di compensazione dei costi delle strategie di mitigazione oltre che per le cure mediche: un doppio co-beneficio per la salute e per l’economia.

Ma gli impatti del cambiamento climatico colpiscono di più i soggetti più fragili e pongono quindi un problema di giustizia ambientale, che riguarda anche la distribuzione di benefici e co-benefici delle azioni di prevenzione e contrasto.

Questo elemento rafforza la necessità di conoscenza epidemiologica dello stato di salute delle persone più vulnerabili e suscettibili, come anziani, bambini, gruppi socioeconomici svantaggiati, informazioni fondamentali per “tarare” interventi di prevenzione non solo più efficaci ma anche più giusti, perché contribuiscano a diminuire le diseguaglianze e non ad aumentarle.

Impatto disuguale

Due esempi sono esplicativi: le morti dovute a calore hanno colpito soprattutto gli anziani e sono raddoppiate dal 2000 a oggi; il riscaldamento può portare a perdite economiche pari al 4-6 per cento del Pil in alcuni paesi a basso reddito. Molti approfondimenti ed esempi sono forniti dai rapporti del Lancet Countdown sulla salute e il cambiamento climatico, una collaborazione internazionale e multidisciplinare, dedicata a monitorare l’evoluzione del profilo sanitario del cambiamento climatico e a fornire una valutazione indipendente sull’adesione agli impegni presi dai governi di tutto il mondo nell’ambito dell’accordo di Parigi.

The Lancet Public Health lancia l’allarme sulla insufficienza delle azioni dei paesi maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra, evidenziando che 12 nazioni del G20, responsabili dell’80 per cento delle emissioni (Cina, India, Brasile, Russia, Sudafrica, Arabia Saudita, Messico, Australia, Turchia, Corea del Sud, Indonesia e Giappone), non hanno rafforzato i loro obiettivi di emissione (Lancet Public Health, 18 agosto 2021)

Per l’occasione Lancet Countdown dedica raccomandazioni ai responsabili dei paesi europei e un secondo rapporto dedicato alla Cina (il più grande emettitore di carbonio del mondo).

In questa situazione bene si comprendono le pesanti responsabilità del vertice Cop26 di novembre, nel quale anche la salute dovrebbe trovare una appropriata collocazione.

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