Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni di cocktail, cene, vernissage, feste e festini, è che le situazioni migliori si creano dalle occasioni improvvisate. Non tutte, ma le memorabili raramente sono fissate in agenda. Quel «dai raggiungici» o «ci vediamo lì» che fanno la differenza.

Ieri sera, ad esempio, nel bel mezzo della fashion week milanese, mi sono trovata attovagliata con Max Pezzali, Jacopo Lazzarini in arte Lazza e Carlo Cracco con le loro rispettive consorti Debora, Debora e Rosa. Quella che a tratti mi sembrava una puntata inedita di Dinner Club, si è svolta nella saletta riservata del ristorante di Carlo Cracco, con lui che non solo decideva il nostro menù «allora faccio io», ma è rimasto persino seduto a conversare. E ha persino riso qualche volta.

In oltre dieci anni di amicizia con lui e Rosa, raramente l’ho visto accomodarsi a lungo coi commensali nel suo ristorante. Con Max e Debora c’era già l’intenzione di vedersi, mentre Lazza è stato l’imprevisto fortunato. Dopo il suo secondo posto al festival di Sanremo è richiesto ovunque – la sua settimana è cominciata con l’evento da Starbucks, poi Diesel e Missoni – ma quando ha saputo che avrebbe passato qualche ora con Max Pezzali, il suo mito da bambino, ha fatto una modifica ai suoi piani. Complice anche la fidanzata Debora, estimatrice di Cracco dai tempi di Masterchef. «Raga, ma che strano è essere a cena con Max e Carlo Cracco insieme?», ha commentato mentre gustava l’uovo soffice alla curcuma, «il più buono che ho mai mangiato».

Il menù e il limoncello

Mi sto sforzando da un’ora di ricordare anche le altre cose che ci siamo detti a tavola fino all’una e mezza di notte, ma il vino, e a seguire il limoncello dello chef assunto in dosi copiose, non me lo consentono. Ricordo che Pezzali ha videochiamato suo figlio Hilo, fan di Lazza e Cracco, pentito di non aver accettato l’invito di suo padre.

Ho capito che Max può entrare nello specifico di qualsiasi argomento e farci una tesi di laurea. Ho scoperto – sempre da Max – che Lazza è un pianista eccellente specializzato in Chopin, informazione che il rapper, per rispetto dei grandi pianisti, non ci tiene a divulgare. Si è poi parlato dei tour, commentato Sanremo e ho buttato lì l’idea di portare Lazza e Pezzali in due puntate di Dinner Club 3 (io non vedrei l’ora, loro due forse meno). Cracco però ci ha fatto intendere che il cast dell’edizione numero tre è quasi al completo e che attori di grosso calibro si sono già proposti dopo aver visto la numero due.

Il menù di Carlo prevedeva il risotto al gorgonzola e ravanelli marinati, e a seguire il salmerino in crosta; Lazza non mangia le verdure e per lui è stata fatta una variazione. Dopo i dolci – faticoso dire no – siamo passati al fumoir, la saletta riservata dove si fuma il sigaro e, volendo, sorseggia whisky invecchiati 50 anni. Deve essere in quella fase che ho perso la memoria. Più che il whisky ho amato il limoncello prodotto dallo chef – non dolce come quello classico – al punto che senza accorgermene ne ho bevuto uno o due di troppo.

Magari tra una trentina d’anni potenzierò la memoria retroattiva tipica degli anziani e mi torneranno in mente certi dettagli della serata. Se qualcuno ha la pazienza di attendere, vi terrò aggiornati.

Cantanti in sala

Tra gli eventi della settimana indimenticabile è stata la prima al cinema Odeon del film La primavera della mia vita del duo Colapesce e Dimartino, diretto da Zavvo Nicolosi. Ad applaudirli in sala c’erano tanti artisti, da Dente a Gazzelle e Michele Bravi. E poi Madame, Roberto Vecchioni, Gianmaria, Corrado Fortuna, Brunori Sas che hanno tutti preso parte – anche solo per un minuto e mezzo – nel film che è rimasto in sala troppo poco, tre giorni come da programma.

Tante le frasi che mi sono rimaste in mente. Da «il radiatore dell’auto è come la nostra anima», pronunciata da un Corrado Fortuna meccanico coi pantaloni in pelle nera, a «quando abbiamo iniziato a preoccuparci di fallire ci siamo persi», di Di Martino durante una crisi d’identità (finta, per fortuna).

Bella anche «il cuore è un malfattore», ma l’unica che ora mi torna in testa è «in ogni singola goccia del mare c’è il ricordo di tutti i posti in cui è stata». Sarà di certo vero, suggerisco che non si avvicini al limoncello di Cracco.

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