La buona notizia è che il Pd di Enrico Letta sembra consapevole della necessità di fare proposte radicali, la cattiva è che finora le idee avanzate non sono adatte ad affrontare i problemi – disuguaglianze, inflazione, lavoro povero – che animano la richiesta di proposte nette.

Nei giorni scorsi l’editore di Domani, Carlo De Benedetti, ha sollecitato il segretario del Pd a fare proposte nette, perché questo non è tempo per “risotti in bianco”.

Letta, alla festa di Domani a Modena, ha dato qualche segnale, ha promesso un impegno serio sulla lotta alla crisi climatica (argomento che però non scalda chi ha problemi urgenti), ma anche la fine della stagione dei bonus che, dai monopattini agli psicologi, sono ormai lo strumento tanto costoso quanto effimero usato dalla politica economica a fini elettorali.

Fuochi d’artificio

«Basta fuochi d’artificio»”, ha promesso Letta, metafora che ben condensa le caratteristiche di tanti provvedimenti estemporanei ma costosi come i giochi di luce a Ferragosto.

Poi, però, è andato dai giovani di Confindustria a Rapallo e ha sparato uno grosso fuoco d’artificio: taglio del cuneo fiscale, anzi “taglio shock”, cioè una riduzione del carico fiscale sui lavoratori dipendenti per far avere fino a una mensilità in più a 15 milioni di dipendenti con redditi annui fino 35 mila euro. Immediato entusiasmo del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, e già questo dovrebbe suscitare diffidenza.

L’idea, anche a questo stadio di vaghezza, ha molti più difetti che pregi. Si tratta di una riedizione degli 80 euro di Renzi, ma su una platea ancora più larga verso l’alto.

Se erano sbagliati gli 80 euro renziani, tra i 10 e gli 11 miliardi all’anno, il “taglio shock” di Letta è pure peggio: miliardi e miliardi a sostegno della parte di popolazione che è relativamente più protetta dai rincari e dalla possibile recessione imminente, perché almeno un posto ce l’hanno.

Nessun beneficio ai veri poveri, incapienti, esclusi dal sistema fiscale, o ai lavoratori poveri pagati in nero, o con contratti diversi da quello subordinato.

E poi nessuna distinzione tra la madre single che deve mantenere due figli col suo stipendio e la madre del miliardario che ha un reddito famigliare disponibile molto più alto.

Il lavoro povero si combatte in molti modi difficili: con un salario minimo e una legge sulla rappresentanza che permetta di garantire a tutti contratti equi, con qualche limite agli abusi nei part-time involontari, cancellando i privilegi fiscali della rendita in modo che torni conveniente investire sull’economia reale, incentivando le imprese a crescere di dimensione e a spostarsi in settori a maggiore valore aggiunto, in modo che una produttività più alta favorisca stipendi maggiori.

La scorciatoia

Tagliare il cuneo fiscale è il modo facile, non il modo efficace. E neppure il modo equo. Perché, a meno che Letta non abbia un geniale piano segreto, i soldi per un intervento simile semplicemente non ci sono.

E tagliare il cuneo fiscale in deficit sarebbe qualcosa di peggio di un crimine, sarebbe un’ingiustizia perché significa redistribuire non dai più ricchi ai più poveri, ma dai più giovani ai più vecchi, dai meno tutelati (i precari e le finte partite Iva) ai più protetti (i dipendenti). Insomma, una cosa di destra proposta dal partito leader del centrosinistra. E infatti è una proposta fatta agli industriali.

Inoltre, in tempo di inflazione, bisogna anche accertarsi che il taglio del cuneo fiscale non favorisca una sorta di illusione monetaria: i dipendenti ottengono gli aumenti a tutela del proprio potere d’acquisto non dai datori di lavoro, ma dallo stato, attraverso la riduzione delle tasse.

Col bel risultato che, alla fine dei conti, finiremmo per usare il deficit per pagare aumenti che altrimenti sarebbero sostenuti dalle aziende (certo, in una rischiosa spirale prezzi-salari). Insomma, con questa inflazione anche un taglio del cuneo tutto a beneficio dei lavoratori finirebbe per essere soprattutto un favore alle aziende.

Letta ha certo le migliori intenzioni, ma rispondere alla domanda di risposte radicali in senso redistributivo con una ricetta ripresa dall’arcinemico Matteo Renzi e applaudita dal presidente della Confindustria Carlo Bonomi non è esattamente un grande inizio.

La campagna elettorale verso il voto 2023 è ancora lunga e Letta ha ancora tempo per correggersi, anche perché in questo parlamento e con Mario Draghi presidente del Consiglio, il “taglio shock” del cuneo fiscale è poco plausibile.

Ma non possiamo permetterci altri errori di politica economica per decine di miliardi.

© Riproduzione riservata