Una delle conseguenze economiche della crisi attuale è l’aumento dei debiti pubblici nella maggior parte dei paesi, causato dalla necessità di mettere in campo risorse straordinarie per contrastare gli effetti della pandemia su imprese e famiglie. Mentre nelle economie avanzate l’aumento del debito è in parte compensato dai bassi tassi di interesse, nei paesi più poveri l’aumento della spesa pubblica avviene in un contesto in cui sia il debito pubblico che la spesa per interessi erano già in rapido aumento. Già prima della pandemia, il Fondo monetario e la Banca mondiale consideravano oltre la metà dei paesi poveri ad alto rischio di crisi del debito pubblico. La sostenibilità del debito è ulteriormente messa a rischio dagli effetti del cambiamento climatico, soprattutto tra le economie più esposte, come le isole caraibiche o del Pacifico.

Negli ultimi vent’anni, per esempio, le tempeste tropicali hanno causato danni pari al 12 per cento del prodotto interno lordo (Pil) e in alcuni casi anche superiori al 100 per cento del Pil, come nei casi di Dominica a Grenada, colpite dagli uragani Maria e Ivan nel 2017 e 2004. L’innalzamento del livello del mare, frequenti inondazioni e ora anche il crollo del turismo post Covid-19 stanno mettendo a dura prova l’economia del Belize, il cui debito ha superato il 120 per cento del Pil. Inoltre, l’esposizione al cambiamento climatico è associata a più elevati costi di finanziamento, maggiore volatilità e una riduzione del potenziale di crescita dell’economia.

Questi fattori incidono sulla sostenibilità del debito, ma possono essere mitigati da investimenti che consentano di intraprendere attività di adattamento ai cambiamenti climatici e strategie di sviluppo sostenibile. Per questo motivo, da più parti sono state avanzate proposte per condizionare la riduzione del debito all’impegno dei paesi debitori ad adottare politiche dirette a ridurre le emissioni e adattarsi al cambiamento climatico.

L’urgenza del problema

Occorre agire in tempi rapidi, per evitare che una nuova ondata di crisi sovrane, resa più probabile dall’impatto della pandemia, si trascini per anni, con costi che non possono far altro che aumentare. La comunità internazionale è intervenuta tempestivamente e lo scorso aprile ha sospeso la spesa per il rimborso del debito dovuta ai paesi creditori fino alla fine 2021.

Sebbene maggiore liquidità aiuti la gestione della crisi, si tratta al più di una soluzione temporanea, che spesso non elimina la necessità di una vera e propria ristrutturazione del debito. Un nuovo accordo stipulato lo scorso novembre tra i maggiori paesi creditori è un passo nella giusta direzione, diretto a promuovere la cooperazione tra i creditori per coordinare le operazioni di ristrutturazione del debito per i paesi a rischio di solvibilità.

Molti osservatori sottolineano che questo approccio non considera la necessità di offrire la riduzione del debito (fino a un livello considerato sostenibile) come un’opportunità per incentivare i paesi debitori a investire nella transizione ecologica.

Così come a fine anni Novanta la cancellazione del debito venne decisa a condizione che i paesi adottassero politiche mirate ad allocare una parte considerevole del budget a politiche per la riduzione della povertà e a spese in sanità e istruzione, oggi si tratta di orientare i risparmi di spesa verso investimenti che possano facilitare il raggiungimento degli obietti dell’accordo per il clima di Parigi e quelli per lo sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite per il 2030.

Adattarsi e cambiare

D’altro canto, non è scontato che questa sia la soluzione ottimale per i tutti i paesi debitori. Mentre investimenti in climate adaptation sono fondamentali per paesi particolarmente esposti ai rischi climatici, in altri contesti, soprattutto in un momento in cui molti governi si trovano a dover affrontare gli effetti drammatici del Covid-19, non è ovvio che l’obiettivo principale nel breve termine debbano essere investimenti green. In particolare, si potrebbe obiettare che queste politiche ricordano un approccio paternalistico che ha spesso caratterizzato la cooperazione internazionale.

Tuttavia, in questo caso la presenza di esternalità, ovvero il fatto che investire nella transizione ecologica genera benefici anche ad altri paesi e alla collettività, è un aspetto importante che può contribuire a giustificare la scelta di condizionare la riduzione del debito all’adozione di politiche volte a mitigare le conseguenze negative dei cambiamenti climatici.

Per conciliare obiettivi sanitari e economici di breve periodo con quelli di sviluppo sostenibile di lungo periodo, si potrebbe, da un lato, salvaguardare una limitata discrezionalità di spesa durante la fase recessiva e, dall’altro, richiedere un impegno preciso e definito ad adottare – al termine della crisi – politiche dirette a considerare l’impatto del cambiamento climatico sull’economia e a favorire la transizione verso un modello di crescita sostenibile.

 Al tempo stesso, è fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza dei rischi climatici e dei loro effetti sull’economia. A questo proposito, un’emissione di titoli di stato che consentano la sospensione dei pagamenti in caso di disastri naturali consentirebbero una migliore gestione dei rischi climatici.

Nell’immediato, è necessario che tutti i creditori, incluso il settore privato, forniscano di una risposta rapida e ampia alla crisi attuale.

Un prolungamento delle processo di ristrutturazione del debito non è nell’interesse né dei paesi debitori né dei creditori, poiché crea incertezza, rallenta la crescita e ritarda il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

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