I risultati inattesi delle primarie del Pd hanno trasformato uno strumento di selezione della leadership di tipo plebiscitario in un’occasione attraverso la quale un elettorato di sinistra, da tempo deluso, ha voluto manifestare la sua insoddisfazione.

Il contrasto tra le scelte degli iscritti e quelli degli elettori (attuali o potenziali) ha messo in luce il distacco vistoso tra il corpo del partito  e il suo elettorato.

La nuova segretaria Elly Schlein dovrà fare i conti con le divisioni interne, che hanno già condizionato l’azione di coloro che l’hanno preceduta e rischiano ora di aggravarsi.  Il problema è certo serio ma andrebbe affrontato facendo più tesoro delle esperienze del passato.

Per diversi anni si è tentata una mediazione statica, schiacciata nel breve periodo e condizionata dalle prove elettorali che via via si susseguivano e dal problema delle alleanze. Il quadro viene complicato in misura significativa dalla personalizzazione della leadership che richiede risultati a breve da parte dei “capi”, pena il loro rapido consumo.

Naturalmente, le elezioni sono importanti per un partito. La preoccupazione per i risultati a breve entra però in conflitto con la costruzione di una visione e di una strategia incisiva a lungo termine. E questo obiettivo non si può perseguire senza un adeguato investimento culturale che alimenti un progetto.

E’ questo che finora è mancato nell’esperienza del Pd, che pure tante speranze aveva acceso attraverso la collaborazione tra le più importanti tradizioni di cultura politica del paese. Ed è questa assenza che ha alimentato la mediazione statica di cui dicevo tra le sue diverse anime trasformatesi in correnti di potere. 

La cultura che manca

Ma in che senso un investimento in cultura e progetto può favorire una mediazione più dinamica tra le varie componenti interne e aiutare a sciogliere i nodi delle alleanze? Non pochi ritengono nel Pd che il tema della strategia e del progetto sia un inutile orpello che distoglie dalla capacità di dare risposte alle “domande della gente”.

Le mozioni dei due candidati alle primarie contengono una lista di proposte su temi specifici. Per esempio, il salario minimo, la riduzione del lavoro a tempo determinato, il rafforzamento delle imprese, la sanità pubblica e tanti altri ancora.

Ci sono ovviamente anche delle differenze più o meno grandi nella declinazione di alcune specifiche misure proposte. Tuttavia, il formato è sostanzialmente lo stesso. 

Questo concretismo che esalta la capacità di “‘fare cose per la gente” è in realtà di corto respiro e non è in grado di rispondere al deficit di rappresentanza segnalato dal grande esodo dell’elettorato popolare e da queste primarie.

 Per procedere più efficacemente in tale direzione occorre elaborare un disegno capace di tenere insieme la crescita del paese, afflitta da molto tempo da bassa produttività e da uno stato poco efficiente, e il contrasto delle disuguaglianze, che sono in Italia tra le più elevate.

Bisogna dimostrare che contrariamente a quanto molti pensano, anche nel Pd, è possibile conciliare redistribuzione e crescita in un progetto di largo respiro, ispirandosi anche alle migliori esperienze di altri paesi.

Per esempio, come è possibile potenziare la sanità pubblica senza razionalizzare coraggiosamente la spesa pensionistica e il sistema fiscale? E come si può incoraggiare l’innovazione delle imprese in modo da favorirne lo spostamento verso la via alta che sola può consentire crescita della produttività, salari più elevati e finanziamento del welfare?

 La redistribuzione non è dunque necessariamente sinonimo di assistenzialismo e debito pubblico, ma può diventare una leva dello sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale. Tutto ciò richiede però una visione e un progetto.

Per questa strada è anche importante il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali - che il Pd ha allontanato facendone spesso una parte del problema più che della soluzione -   così come del ricco tessuto associativo della società civile in direzione di una democrazia negoziale che si tenga lontana dalle false scorciatoie della democrazia maggioritaria.

Elly Schlein ha mostrato di sapere dare voce a una vasta area di elettorato critico, con una forte presenza di donne e di giovani, emozionandolo e mobilitandolo. La sfida forse più difficile che l’attende è di dare una risposta in termini di progetto e di governo alle attese che ha suscitato.                                       

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