Una recente ricerca ha mostrato le posizioni dei partiti sull’asse sinistra-destra: Fratelli d’Italia e Lega sono praticamente appaiati e molto sbilanciati verso il polo estremo di destra, mentre Forza Italia è appena più spostata, ma non di molto, verso il centro. Questo conferma che gli elettori dei tre partiti non vedono grandi differenze tra l’un partito e l’altro, e sono disposti quindi a spostarsi tranquillamente verso Meloni, Salvini o Tajani a seconda delle circostanze. Sembrano fluttuare tenendo in conto soprattutto le aspettative di buona performance del leader di una di queste formazioni.

La serie storica dei sondaggi tra fine 2019 e inizio 2022 indica infatti un travaso progressivo di consensi dalla Lega a FdI. Come in un sistema di vasi comunicanti tutto interno alla destra, al calo dell’uno corrispondeva la crescita dell’altro. In quel periodo la contesa aveva escluso un Berlusconi declinante verso il quale l’elettorato continuava a nutrire affetto e riconoscenza; ma il Cavaliere non incarnava più, per forza di cose, il futuro.

Anche se i partiti di destra avevano accettato (probabilmente obtorto collo e certamente con scarsissima convinzione) di candidarlo alla presidenza della Repubblica nel 2022, in realtà era ormai fuori dai giochi. Gli elettori ne hanno preso atto alle ultime elezioni politiche, e hanno trascinato Forza Italia al suo minimo storico, retrocedendolo al terzo posto tra le formazioni della destra.

Nelle ultime settimane FI sembra aver metabolizzato il lutto della scomparsa del fondatore e ha avviato una riconfigurazione del proprio assetto su basi più tradizionali. Anche sul piano politico-strategico, dopo aver subito l’irruenza del capo del governo che gli ha fatto inghiottire di tutto, ora, in vista delle elezioni europee, Tajani cerca di distinguersi sempre di più. In effetti il voto di giugno mette in luce, ben più del passato, le divergenze all’interno della maggioranza. Se prima gli elettori non prestavano troppa attenzione alle specificità delle varie formazioni perché c’era un obiettivo comune, sconfiggere la sinistra, ora la scadenza di giugno evidenzia le fratture che solcano il governo.

A sinistra, invece, tutti sono collegati a gruppi filoeuropei. Anche i 5 stelle, che nel passato si erano alleati con gli euroscettici, nel 2019 hanno cambiato nettamente atteggiamento, tanto da essere decisivi per insediare Ursula von der Leyen insieme a popolari, socialisti e liberali. A destra: FI si è emendato dall’euroscetticismo dei governi Berlusconi sposando un moderato filoeuropeismo; FdI nel giro di un anno ha abbandonato le invettive contro la dominazione bruxellese e si è legato alla von der Leyen, sovrapponendo la persona all’istituzione (un riflesso dell’idea di premierato…?); la Lega continua a sparare bordate contro l’Ue senza tener conto degli alleati.

Coerentemente con questo arco di posizioni i tre partiti afferiscono a eurogruppi diversi, con i leghisti che vanno a braccetto con Marine Le Pen e i nostalgici tedeschi, i forzisti che aderiscono ai popolari, i quali hanno sempre governato le istituzioni comunitarie con socialisti e liberali, e Meloni che dimostra grande disponibilità per essere accettata nel salotto buono di Strasburgo, ma può avvalersi solo della sponsorship della attuale commissaria, la cui riconferma è però appesa a un filo.

Di fronte a uno scenario internazionale attraversato da crisi e guerre che obbligano l’Europa a scelte radicali, l’Italia si presenta con un governo spaccato, diviso sulle alleanze nonché sui dossier più importanti in discussione a Bruxelles. Effetto della rissosità della maggioranza: relegare l’Italia in una posizione marginale.

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