Tre anni di assemblee delle società quotate italiane a porte chiuse e senza gli azionisti. Le società partecipate, tra cui le multinazionali energetiche, e le grandi banche sono ancora in “regime emergenziale”, perché di fatto il governo ha prorogato questo status straordinario solo per loro in un passaggio del Decreto Milleproroghe.

Altrove in Europa, nel Regno Unito ma anche in Francia, già dall’anno scorso istituti di credito come Barclays e HSBC hanno riaperto le porte agli azionisti e favorito così il dibattito interno. Da noi anche chi potrebbe sfruttare articoli statutari che permettono almeno la partecipazione online, come Intesa Sanpaolo ed Enel, fanno i pesci in barile.

Diverse società si giustificano paventando il pericolo di attacchi informatici o la difficoltà di certificare l’autenticità dell’azionista che siede dall’altra parte degli schermi. Alcune, come Snam o Eni, in due anni e mezzo dall’inizio della pandemia, nemmeno si sono poste il problema di modificare gli statuti per favorire la partecipazione telematica. Come se una tale iniziativa fosse uno sforzo immane per società quotate in borsa dagli utili miliardari.

Va detto che tutte le grandi banche e corporation italiane, eccetto Eni, hanno risposto alla nostra richiesta di chiarimenti sul perché delle assemblee a porte chiuse e senza alcun azionista. Ma le scuse accampate lasciano interdetti, perché è evidente la voglia matta di ripararsi dietro la foglia di fico fornita ad usum delphini dall’esecutivo guidato da Mario Draghi.

A dir poco singolare che la delega concessa dal governo si estenda fino a fine luglio, quando lo stesso ha decretato la fine dello stato di emergenza dovuto alla pandemia a fine marzo.

Vietato fare domande scomode

Così, ancora più del passato, la stagione delle assemblee degli azionisti ormai entrata nel vivo, ruoterà solo intorno a due argomenti: il rinnovo dei CdA e lo stacco della cedola, cioè il dividendo corrisposto agli azionisti. Insomma, questi consessi rappresentano bene la distanza abissale che intercorre tra gruppi finanziari e industriali e il ‘paese reale’, dove i bisogni delle persone non trovano altro spazio se non quello di subire decisioni prese altrove.

Si pensi al mega-programma di buyback di azioni promosso da Eni per rimpinguare ancora di più il futuro dividendo degli azionisti, mentre le bollette per gli utenti aumentano.

Di questo tema o delle istanze dei territori impattati dalla condotta delle multinazionali energetiche o dai finanziamenti dei grandi istituti di credito non si potrà trattare durante le assemblee a porte chiuse, quasi a voler decretare la fine prematura dell’azionariato critico, in crescita in Italia negli ultimi anni.

Come spesso accade nel nostro paese, per evitare seccature ci si barrica dietro il paravento della legalità e della burocrazia: si finisce così per portare avanti azioni che ledono i diritti altrui. E si nega non solo la possibilità di dibattito riguardo alle scelte strategiche delle principali aziende italiane, ma anche una basilare trasparenza: alla fine le assemblee sociali si chiuderanno solo con scarni comunicati stampa e lanci di agenzia.

Ci chiediamo cosa ne pensi la Consob, a cui dovrebbe essere cara la trasparenza del mercato mobiliare italiano, a partire dalla partecipazione degli azionisti alle assemblee.

Con tutte le normative volte a proteggere gli interessi dei gruppi industriali e finanziari a discapito dell’azionariato, soprattutto quello piccolo e critico che non ha la capacità - in termini di azioni possedute – di avanzare punti all’ordine del giorno delle assemblee, ma riesce solo a interloquire con il management affinché renda conto degli impatti sociali e ambientali del loro operato, si è creato un brutto precedente: cosa accadrà alla prossima emergenza? Quanto saranno ulteriormente compressi gli spazi di confronto democratico?

© Riproduzione riservata