Tra i tanti episodi bizzarri a cui nessuno avrebbe immaginato di assistere, svetta il giorno in cui Enzo Iacchetti è diventato un eroe mediatico della causa palestinese. Fa un certo effetto sentire la voce di “Sciur Enzino”, quella che abbiamo sempre associato all’urlo primoridale «le veline!», dibattere con trasporto di Hamas, 7 ottobre e, soprattutto, di bambini morti sotto le bombe di Israele in questi quasi due anni di genocidio - l’Onu ha detto che ora possiamo chiamarlo così, urrà - ma il presente ci impone quotidianamente di sospendere l’incredulità, e dunque eccoci qua.

Nella cornice variopinta del salotto di Bianca Berlinguer, tra un vaffanculo e un non troppo velato «con le mani quando vuoi», Iacchetti va su tutte le furie perché il presidente di Amici di Israele - dopo aver chiesto provocatoriamente una definizione del termine “bambini”, non si sa bene per cosa, forse per capire quali palestinesi possono fare gli acquascivoli? - gli dà del fascista.

Al netto della pazienza e dei principi di civiltà che vanno sempre mantenuti, la rabbia scomposta di Iacchetti coglie un punto centrale del contemporaneo. «In questa guerra non ci deve essere un contraddittorio», urla a una persona che ha appena affermato, tra le varie cose e senza alcuna esitazione, che la metà dei morti civili erano terroristi di Hamas.

Il contraddittorio: la bestia mitologica che viene chiamata in causa quando serve una scusa per dire qualsiasi cosa, anche la più aberrante, ignobile, falsa, in nome della libertà di parola. Salvo poi accusare di fascismo chi, come Iacchetti, ti fa notare che in certi casi non c’è proprio nulla da contraddire.

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