Cos’hanno in comune la moglie di Charlie Kirk e la direttrice d’orchestra? A parte il colore dei capelli e un certo disprezzo per i movimenti femministi, ci sarebbe anche dell’altro
Ogni frammento dal funerale-comizio di Charlie Kirk meriterebbe un’analisi semiotica e antropologica lunga almeno un centinaio di pagine, dunque concentriamoci sulla protagonista. La vedova Kirk, accolta come si accoglie un lottatore di wrestling, sale sul palco tra fuochi d’artificio e preghiere mormorate per poi lanciare due messaggi, uno funzionale alla narrazione mistica della tragedia, l’altro un po’ meno cristiano: perdono il mio nemico, ora però tremate, perché scendo in campo io. E come direbbe Lorenzo Caccialupi, instant-celebrity del trumpismo meloniano, nonché anello mancante tra Turning Point Usa e Mario Brega, «e mo’ so’ cazzi».
Anche dalle nostre parti una bionda di turbo-destra prende il comando (sì, un’altra). Il Maestro Beatrice Venezi sarà a capo del Teatro La Fenice dal 2026 al 2030, applausi del ministro Giuli. Oltre al colore dei capelli e l'innegabile determinazione, le due donne condividono un certo disprezzo per le istanze dei movimenti femministi, che siano queste quote rosa o concordanze tra sostantivi.
Venezi, è cosa nota, porta avanti da tempo una battaglia per non essere declinata al femminile, Erika Kirk incarna il perfetto cliché della cosiddetta «tradwife». Eppure, entrambe hanno studiato, entrambe lavorano, entrambe ricoprono posizioni che, senza quelle suddette istanze, oggi non potrebbero ricoprire. Sembra un cortocircuito logico, eppure è esattamente il modo in cui ragiona la grande chiesa del conservatorismo d’oggi, che non va da Che Guevara a Madre Teresa ma da Candace Owens a Silvia Sardone.
La donna al potere sì, ma solo se nega che quel potere lo ha ottenuto grazie ad altre donne, e non per gentile concessione maschile.
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