Il giorno stesso in cui si è concluso il lungo processo dei terroristi del Bataclan, la giustizia francese ha negato l’estradizione degli ex brigatisti italiani per motivi umanitari. Dopo aver esaminato la richiesta urgente della ministra Marta Cartabia, la magistratura parigina ha confermato il suo parere privilegiando il diritto a un processo equo sugli esiti internazionali e i diritti dell’uomo sulla volontà presidenziale di porre fine a una lunga disputa. Perché i giudici francesi sono così restii a estradare gli ex brigatisti? Ci sono diverse ragioni.

La dottrina Mitterand

Nel 1981 François Mitterrand è stato eletto presidente e, quasi subito, si è dovuto confrontare con il fatto che un numero notevole di ex militanti della lotta armata avevano attraversato le Alpi per sottrarsi ai procedimenti giudiziari.

Il nuovo presidente francese era un difensore del diritto d’asilo, che risaliva alla Rivoluzione francese, ma era anche preoccupato della presenza clandestina di circa 300 estremisti che si temeva potessero aggregarsi ai movimenti terroristici locali.

Alcuni avevano effettivamente commesso dei crimini, ma la maggior parte aveva solo aderito a organizzazioni estremiste senza necessariamente partecipare ad azioni armate. Trasferendosi in Francia molti di loro avevano cercano una via d’uscita dalla spirale della violenza.

Mitterrand si era quindi impegnato in una politica di avvicinamento nei confronti di quelli che rinunciavano alla lotta armata. Durante una visita ufficiale di Bettino Craxi a Parigi, il 22 febbraio 1985, aveva definito quella che sarebbe stata in seguito chiamata la “dottrina Mitterrand”.

Chi non aveva commesso crimini di sangue poteva rimanere in Francia, gli altri avrebbero dovuto fare i conti con la giustizia francese. Per Craxi era comunque una vittoria: aveva ricevuto la garanzia che i criminali sarebbero stati estradati.

In quel periodo il presidente del Consiglio non era particolarmente desideroso di veder tornare in Italia tutti i terroristi che erano fuggiti oltreconfine. Nelle carceri italiane ce n’erano già a centinaia e le autorità temevano potessero diffondere le loro idee e la dottrina della lotta armata tra i criminali comuni.

Così la Francia era diventata uno spazio di decompressione della violenza endemica che si era creata in Italia negli anni di piombo. Ma l’intesa tra Mitterrand e Craxi ha generato una situazione iniqua tra chi è fuggito e chi è stato incarcerato in Italia.

La “dottrina” Macron

Permettendo agli ex brigatisti di rimanere in Francia, Mitterrand si era impegnato, come presidente della Repubblica, nei loro confronti. Da un punto di vista istituzionale e umano, la presidenza non poteva rimangiarsi la parola data anche se la riserva sui crimini di sangue era presto scomparsa da discorsi del presidente.

Oggi Emmanuel Macron vuole tornare a una definizione più rigorosa della “dottrina Mitterrand” per chiudere la decennale incomprensione tra il suo paese e l’Italia. Non c’è motivo per cui la Francia diventi un rifugio per i criminali. Da molto tempo gli esuli italiani sono diventati un argomento di polemica anche a Parigi, sollevato soprattutto dalla destra francese.

Il caso Battisti ha contribuito a modificare l’immagine di tutti gli ex terroristi riparati in Francia. Diventando uno scrittore di gialli, l’ex membro dei Proletari armati per il comunismo, ha infranto la regola della discrezione che prevaleva fra gli esuli italiani. La sua fama, basata sul mito romantico del rivoluzionario perseguitato, ha spinto molti personaggi pubblici a schierarsi dalla sua parte. Oggi appare chiaro che ha ingannato i francesi sul suo passato.

Problemi di diritto

Esiste poi un’altra distinzione tra il diritto francese e quello italiano che ostacola le estradizioni. In Francia una persona non può essere condannata in via definitiva se è assente al suo processo. La magistratura francese non riconosce il processo in contumacia.

Per questo le domande di estradizione vengono rifiutate. In Italia tutto questo viene vissuto come un’ingiustizia. Ma gli italiani non devono dimenticare che le persone estradate andranno direttamente in carcere senza che il loro caso, a distanza di quarant’anni, venga riesaminato. Eppure le loro vite non si sono fermate il giorno in cui hanno varcato il confine.

Lo scorso marzo quando si è diffusa la notizia di un’accelerazione del governo italiano sulle richieste di estradizione, diversi psichiatri e psicoanalisti francesi hanno testimoniato a favore degli ex brigatisi parlando della loro lunga e difficile ricostruzione psicologica, professionale, relazionale e familiare. Consegnarli alla giustizia italiana ora che sono diventati delle persone diverse è problematico. Alcuni di loro sono stati condannati all’ergastolo e finiranno i loro giorni i carcere.

Bisognerebbe poter fare valere davanti alla giustizia italiana il fatto che gli ex brigatisti hanno rispettato il patto con Mitterrand comportandosi in modo esemplare in Francia. Ma questo non è possibile. Al contrario, tornate nel loro paese d’origine, queste persone verrebbero sottoposte a un regime di detenzione molto severo (le loro famiglie francesi non potranno fargli visita) anche se non rappresentano più un pericolo per la società italiana.

La giustizia dovrebbe riconoscere sia l’umanità delle vittime sia quella dei criminali. In questa situazione inestricabile, riconoscere quella dei primi permettendo l’estradizione significa negare quella dei secondi che hanno rinnegato il passato e cambiato vita. La decisione dei magistrati parigini si basa di fatto sugli articoli 6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Respingendo la richiesta di estradizione hanno riaffermato dei princìpi fondamentali, il diritto a un processo equo e al rispetto della vita familiare, in maniera indipendente dal potere politico.

Il peso della storia

Ma se le richieste d’estradizione respinte fanno notizia in Italia, in Francia la questione è passata del tutto inosservata. La maggiore parte dei francesi non sa chi sono i terroristi italiani e non capisce il prolungarsi della controversia.

Quelli che invece ricordano ancora le vicende complicate degli anni di piombo si interrogano sul senso di eseguire una pena dopo tanti anni. Il contesto politico è cambiato e le ragioni del coinvolgimento nella lotta armata sono diventate difficili da comprendere.

Ciò che non è passato inosservato sono le strumentalizzazioni politiche della destra italiana. L’immagine di Matteo Salvini che, con indosso il giubbotto della polizia, riceve Cesare Battisti appena atterrato a Roma, ha contributo ad aumentare la percezione che certi atteggiamenti fascisti non sono siano stati del tutto superati in Italia.

Presentandosi come colui che avrebbe lavato l’onta subita dal suo paese, l’ex ministro dell’Interno ha usato una retorica nazionalista a cui hanno risposto le mobilitazioni francesi a sostegno degli esuli italiani accompagnate dalle note di “Bella ciao”. 

Immagini che riportano alla memoria le vicende degli antifascisti italiani riparati in Francia durante il Ventennio. Se la situazione degli anni Settanta non può essere equiparata a quella degli anni Trenta, la storia ha ancora un peso. E questo non favorisce né l’acquietamento, né una via di uscita accettabile per tutti.  

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