Ci sono misure giuste e misure sbagliate. E ci sono misure che, pur giuste in linea di massima, si comunicano male e si applicano peggio, al punto che diventano controproducenti. Il prelievo sugli extraprofitti delle banche varato dal governo Meloni, su forte spinta della Lega di Matteo Salvini, appartiene a quest’ultima categoria. Vediamo di capire perché.

In principio la misura è condivisibile. Per l’aumento dei tassi deciso dalla Bce, vi è stato infatti un aggravio nel costo dei mutui (sia quelli contratti in passato a tasso variabile, sia quelli contratti oggi con qualsiasi tipo di tasso), con il risultato che per molti è diventato sempre più difficile arrivare alla fine del mese.

Nello stesso tempo, i profitti aggregati delle banche risultano, in effetti, in forte crescita: solo nei primi sei mesi del 2023, per i primi cinque gruppi italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Mps) sono passati da 6,4 a 10,6 miliardi (+65 per cento).

Proprio per questo una parte dell’opposizione, dal Partito democratico (con Andrea Orlando) ai Cinque stelle, chiedeva da tempo di intervenire sugli extraprofitti delle banche, utilizzando queste risorse per alleggerire i mutui delle famiglie. Ebbene, il governo ha riconosciuto le buone ragioni dell’opposizione di sinistra. E ha varato, la sera del 7 agosto, il suo primo provvedimento di natura sociale.

Solo che l’ha fatto male, rischiando così di vanificare tutto. Primo, il provvedimento non era stato condiviso con gli operatori del settore ed è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Percepito come un blitz punitivo, ha fatto bruciare miliardi di euro in Borsa e ha anche fatto aumentare lo spread. Le banche sono piombate da una situazione di vantaggio a una di difficoltà: ne pagheranno le conseguenze i clienti, forse i dipendenti, probabilmente tutti noi. Il contrario di quello che si desiderava.

Secondo. La norma, probabilmente proprio perché frettolosa e non condivisa, è stata scritta male. Intanto è generica. Si applica infatti al margine di interesse, cioè la differenza fra gli attivi e i passivi delle banche (dei primi fanno parte i mutui, dei secondi i conti corrente). Il margine di interesse aumenta se, ad esempio, le banche riscuotono interessi più alti dai mutui, ma non aumentato le remunerazioni che pagano sui conti corrente.

Però il margine di interesse può aumentare anche perché, semplicemente, cresce il totale dei mutui, o diminuisce quello dei conti corrente, a “prezzi” (tassi) invariati. Una norma mirata avrebbe dovuto prendere di mira le banche che, effettivamente, non hanno adeguato le remunerazioni dei correntisti, o magari quelle che hanno lasciato lievitare troppo i mutui variabili rispetto al tasso base della Bce, oppure entrambe.

Su questo, un dialogo con gli operatori del settore sarebbe stato cruciale, per formulare la norma in modo più preciso e, quindi, corretto. Al contrario, con un intervento di questo tipo, improvviso e generico, si è dato alle imprese il segnale che lo stato può intervenire in qualunque momento, e in modo anche retroattivo, e arbitrario, per appropriarsi dei loro profitti. È un segnale pessimo. È proprio quello che, nel congegnare interventi di questo tipo, dovrebbe essere evitato.

Tagliare le tasse

Ci sarebbe poi da discutere anche sulla destinazione. Perché una parte andrà alla riduzione delle imposte, cioè alla riforma fiscale? Ne beneficerà così anche chi non ha dovuto pagare per l’aumento dei mutui. Oltretutto, la riduzione delle imposte è permanente, mentre questa è una misura temporanea: come si fa a pensare di finanziare un taglio permanente con un’entrata temporanea?

Più coerente, logico e giusto sarebbe stato destinare tutto l’extra-gettito ad alleggerire i mutui: sulla prima casa, e questo va bene, ma anche (solo oltre una certa soglia) su chi deve affrontare insostenibili aumenti dei tassi variabili.

In un’economia capitalista, aperta, finanza e credito devono essere gestiti con grande cura. Soprattutto, quando si vuole varare un provvedimento di equità sociale (è anzi proprio allora che bisogna stare più attenti!). Una classe dirigente preparata, seria, quella di cui abbiamo bisogno, deve sapere come farlo.

Nella storia d’Italia fu il caso di Giolitti e Nitti, liberali di sinistra, un secolo fa, quando dovettero tassare i sovraprofitti di guerra (ma sono figure poco amate dalla destra, di oggi e di allora). Qui invece siamo all’improvvisazione pura: la più deleteria. E forse finalmente comincia ad accorgersene anche chi era stato a lungo indulgente con Meloni e Salvini.

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