"El cobre es el sueldo de Chile” era lo slogan politico-economico di Salvador Allende che intendeva nazionalizzare, tra l’altro, la rete mineraria specialmente del rame che era in mano a compagnie statunitensi.

L’ambizioso progetto social-comunista fu la principale causa di opposizione interna ed internazionale, in particolare generando una forte irritazione dell’amministrazione americana che non accettava esuberanze radicali nel “giardino di casa”, come Washington definiva l’America latina, e che pertanto sostenette il golpe militare guidato da Pinochet nel 1973.

In un contesto storico, istituzionale e sociale diverso, le recenti elezioni politiche in Italia rimandano tuttavia ad alcune similitudini con Santiago.

Giorgia Meloni ha stravinto sul piano elettorale, ma lo ha fatto per defezione, per abbandono dell’avversario deciso a perdere prima che la competizione avesse inizio.

Il programma di Meloni/FdI, molto più che per il duo forza-leghista, è ambizioso e sistemico. Punta a innovare e in alcuni casi a stravolgere l’esistente su almeno due versanti: la politica estera e il governo dei diritti civili.

Sul fianco estero il progetto della destra mira deliberatamente a scardinare l’assetto (pre) federale dell’Unione europea. La stella polare di Meloni è il nazionalismo, la difesa dell’interesse nazionale ribadito in qualsiasi consesso.

L’orizzonte culturale ed istituzionale della destra è il concetto di sussidiarietà: l’ente superiore si astiene dall’intervenire in vicende e materie nelle quali e per le quali l’ente inferiore possa e sia in grado di occuparsi direttamente.

Tradotto: l’Unione europea non intervenga, non interferisca nelle dinamiche delle politiche pubbliche nazionali e, tantomeno, nelle controversie eventuali tra Stati. Unici depositari del governo dei propri territori e, quindi, sostanzialmente svincolati dalle grinfie iper-regolatrici di Bruxelles.

Torna cioè il disegno dell’Europa delle nazioni, che fu anche e prima di tutti della Lega di Bossi, della Lega nord delle origini che vedeva nella difesa delle singole patrie la possibile convivenza del nord, della futura padania, nel novero dei movimenti indipendentisti e autonomisti sparsi per il continente.

Atlantismo non basta

L’atlantismo sbandierato ad ogni piè sospinto è persino sospetto. Meloni è più vicina all’agenda Trump che non a quella democratica. I repubblicani trumpiani sono certamente nazionalisti ed isolazionisti, e quindi anche competitori del protagonismo economico e geopolitico della Unione europea, su questo in linea di massima concordi con i democratici.

In ambito di diritti civili il nazionalismo di FdI, con il sostegno della Lega, esalta il nativismo. Una versione tardo ottocentesca dello ius sanguinis, presente in vari paesi.

La prima donna probabile che guiderà Palazzo Chigi dovrà pertanto fare i conti con una debolezza politica, elettorale e sociale, non in sé, ma soprattutto rispetto ai progetti ardimentosi di cambiamenti.

Tra il 1994 e il 2022 solo in tre occasioni il partito che esprimeva il presidente del Consiglio ha raccolto meno del 25 per cento dei seggi: Forza Italia nel 1994 e il Pds nel 1996 (21 per cento) e il Pd nel 2013 (22 per cento). Le uniche elezioni rispetto alle quali il dato di Fratelli d’Italia raccolto il 25 settembre è maggiore.

Il combinato disposto di nazionalismo internazionale e interno sfocia nella volontà di governare l’economia rilanciando una forma di autarchia aggiornata. Ma gli strali contro Bruxelles della campagna elettorale fanno i conti con il realismo del pre-governo, e la gestione del Pnrr non può che essere svolta con la collaborazione della Commissione, di Parigi e di Berlino. Il silenzio di Meloni su questo versante lascia aperta una speranza circa ravvedimenti.

Il sostegno popolare, dei corpi sociali e degli interessi organizzati a Meloni non è tale da consentire una torsione radicale dell’azione di governo.

Il paese è diviso politicamente, socialmente, geograficamente, stanco da molte crisi, e necessita di mediazione, condivisione e negoziato.

È arduo condurre in un porto sicuro progetti che riscrivano la collocazione italiana in Europa e nel mondo, che ridisegnino le coordinate sui diritti civili e il governo dell’economia senza tenere conto del contesto sovranazionale.

Difficile politicamente oltre che rischioso allorché a sostenerne l’eventuale applicazione sia un quinto della popolazione. Il rischio rigetto e frattura sociale sarebbe dietro l’angolo.

Enrico Berlinguer, al netto della tattica, dopo i “fatti cileni” dichiarò che si sentiva più al sicuro sotto l’ombrello della Nato.

Sarebbe un bel segnale per l’Italia se anche Giorgia Meloni dichiarasse che si sente più tutelata sotto l’ombrello dell’Unione europea.

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