Gli strali di Giorgia Meloni circa gli obblighi del presidente della Repubblica  qualora il suo partito giungesse in testa alle elezioni segnalano timori e scarsa dimestichezza istituzionale.

L'incarico per formare un governo è un istituto para-consuetudinario e legato alla situazione politica complessiva. Il Partito repubblicano espresse nel 1981 il presidente del Consiglio con il 3 per cento dei voti. Accordi extra parlamentari, decisioni a valle del negoziato tra coalizioni e i partiti, ma anche tra correnti intra-partito, specialmente la Democrazia cristiana, ma non solo.

Fratelli d’Italia con più voti potrebbe non esprimere il primo ministro, potrebbe non con-vincere.

Effetto Rosato

L’assenza di un sistema elettorale costringente rende il risultato non scontato

La legge Rosato non assicura una maggioranza rispetto a quanto visto tra il 2006 e il 2013, per cui nessun esito o vittoria è garantito ed essere primo partito potrebbe non essere sufficiente.

Anche le analisi recenti scontano l’assenza dell’effetto della campagna elettorale sui partiti, i candidati e gli elettori, i quali, nella misura di circa un terzo decidono chi votare direttamente nella cabina elettorale. Il tutto combinato con un sistema istituzionale debole che genera instabilità.

Il sistema partitico eccessivamente frammentato produce maggioranze claudicanti, perché eterogenee e frutto di negoziazione ex post voto. Effetti pienamente legittimi e coerenti con la logica del sistema parlamentare. Tuttavia, il rapporto di rappresentanza rischia di essere incrinato se consideriamo che negli ultimi quindici anni si sono succeduti sette presidenti del consiglio e otto governi, due dei quali “tecnici” e tre grandi coalizioni; e che nell’ultima legislatura si sono avvicendati tre esecutivi in un tourbillon di consociativismo e trasformismo. 

Opzioni per la destra

La solidità culturale ed elettorale della coalizione di destra è nel complesso stabile dal 1994, specialmente a livello locale, mentre sul piano parlamentare le fibrillazioni sono state svariate e a volte esiziali.

La stabilità dell’alleanza dipenderà dal tipo di maggioranza parlamentare: se relativa, se autosufficiente tra FdI e Lega (tecnicamente “minima vincente”) ovvero se includerà Forza Italia, ossia una coalizione sovradimensionata.

Un governo estremo che includa FdI e Lega rischia di durare diciotto mesi, inciampando su un incidente internazionale, o affondando come il Conte I per competizione esasperata tra fratelli-coltelli e il ruolo del primo ministro. Tralasciando le opzioni intermedie, lo scenario alternativo vede una alleanza che escluda le estreme.

Una conventio ad excludendum aggiornata al Duemila, una coalizione pro Europa che alcuni chiamano ‘maggioranza Ursula’. Questa opzione comporta il pericolo di una polarizzazione e senso di frustrazione popolare. 

Il punto politico da fissare è che Meloni potrebbe non giungere a Palazzo Chigi. Il comportamento del partito del politicamente imperituro ed enigmatico Cavaliere, e le relazioni con il duo Renzi-Calenda saranno decisive.

I sondaggi potrebbero sovrastimare le intenzioni di voto per FdI che beneficia dell’elettorato di appartenenza, motivato e militante. La maggioranza silenziosa pro Draghi non compare tra le dichiarazioni di voto e si manifesterà nelle ultime giornate in modo imprevedibile.

I dilemmi per FdI

Un futuro governo a guida FdI dovrebbe navigare tra lo spirito movimentista di una componente vitale del partito, non a caso legata al simbolo della fiamma tricolore, e la voglia di legittimazione internazionale. Le uscite diplomatiche mirano a recuperare reputazione.

Tuttavia, il recente slancio atlantista e pro Nato non è incompatibile con una postura fortemente contraria all’Unione europea, in linea con l'Europa delle nazioni in stile Marine Le Pen.

L'Europa è il tema su cui si gioca il successo di Meloni eventuale presidente del Consiglio: sulla lealtà al progetto europeo con sguardo vigile il Capo dello Stato non farà mancare l’esercizio delle prerogative presidenziali.

Meloni, imitata da Luigi Di Maio, nel 2018 chiese per prima la messa in stato di accusa per il presidente Sergio Mattarella reo di avere rigettato la nomina dell’anti-euro Paolo Savona al ministero dell’Economia.

La capa di FdI si comporterebbe nello stesso modo se la sua proposta fosse rigettata o emendata?

Il 25 settembre è vicino, ma la strada di Giorgia Meloni per il governo è ancora lunga e tortuosa.

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