Potrebbe essere la risposta concreta che tiene insieme le preoccupazioni ambientali e sociali fino a oggi contrapposte. Si tratta del Piano sociale per il clima che il governo italiano dovrà presentare entro giugno per dire all’Europa come intende spendere i circa 7 miliardi di euro messi a disposizione del nostro paese dal Fondo sociale per il clima per il periodo 2026-2032, a cui si aggiungerà il 25 per cento di cofinanziamento nazionale.
I beneficiari dovranno essere le famiglie e le microimprese considerate vulnerabili nell’accesso ai servizi energetici e ai trasporti. In occasione della terza fase della consultazione pubblica sul Piano, undici organizzazioni e reti (Forum disuguaglianze e diversità, Legambiente, Wwf, Transport & environment, Caritas italiana, Clean cities campaign, Cnca, Greenpeace, Kyoto club, MIRA Network e Nuove Ri-Generazioni) hanno presentato un documento con osservazioni e proposte di miglioramento.
Occasione da non perdere
L’obiettivo è fare in modo che il nostro paese non perda questa occasione e utilizzi i fondi non per il solito sistema di bonus ma per avere appunto un piano strutturale, una strategia, per tenere insieme le politiche climatiche con quelle sociali.
In un’epoca di crisi climatica e di povertà sempre più diffusa infatti è forte la narrazione per cui solo i ricchi possono permettersi di avvantaggiarsi della riduzione delle emissioni – dall’efficienza energetica alla mobilità elettrica – a discapito peraltro dei più poveri, su cui si scaricherebbero i costi delle politiche di decarbonizzazione.
Il nodo è tutto qui, fare in modo che i soldi impiegati sui due filoni previsti – efficienza delle abitazioni e mobilità sostenibile – arrivino davvero a sostenere i soggetti più vulnerabili, dalle famiglie alle microimprese. Per fare questo però bisogna risolvere uno dei punti critici del Piano italiano: manca una strategia complessiva. Un esempio: serve coordinare le politiche sull’edilizia sociale con quelle sull’edilizia sostenibile.
Basta incertezza
Nell’ultimo sondaggio Eurobarometro condotto per la Commissione Ue, emerge che per oltre la metà (51 per cento) dei cittadini europei che abita in città la «mancanza di alloggi a prezzi accessibili» è il problema più urgente da affrontare, ancora prima della disoccupazione (33 per cento) e della carenza di servizi pubblici (32 per cento).
Fare in modo che questa richiesta “di casa” sia anche una richiesta di “casa efficiente” e quindi meno costosa deve essere l’obiettivo, superando l’ostilità sociale diffusa ed ampiamente orchestrata alla direttiva europea sulle Case verdi, che impone di riqualificare entro il 2035 da 2,6 a 3,7 milioni di case italiane.
Il Piano deve essere lo strumento per mettere fine all’incertezza. Ma deve anche essere coraggioso e a questo proposito prevedere, come si fa, un obiettivo del solo 30 per cento di efficientamento ci sembra molto lontano dalle possibilità tecnologiche a nostra disposizione che potrebbero arrivare all’80 per cento dando una mano concreta a combattere il caro bollette.
Per garantire l’intreccio delle politiche è necessaria anche la partecipazione dei cittadini e la creazione di processi virtuosi. Una partecipazione che non è stata garantita sufficientemente in fase di redazione del Piano ma che invece sarebbe strategica per abilitare le persone (soprattutto i soggetti più vulnerabili) informandole e mettendole nelle condizioni di accedere ai fondi e contemporaneamente di far giungere ai decisori politici i reali bisogni.
Politiche ambientali e sociali
Il Piano a tal proposito prevede una figura di “accompagnamento”, il Ted, una sorta di tutor per l’energia domestica, che dovrebbe aiutare le famiglie vulnerabili a gestire l’impatto dei costi energetici. A oggi questo investimento privilegia il ruolo di un tecnico professionista piuttosto che la costruzione di infrastrutture sociali nei quartieri per accompagnare i più fragili.
Ugualmente sul fronte della mobilità poco è previsto, al di là del solito sistema dei bonus per la rottamazione, che nulla cambia nella prospettiva di garantire un reale accesso al diritto a muoversi per tutte e tutti. Il Piano, quindi, rischia di essere un’occasione persa mentre servono invece misure strutturali che garantiscano nuova sicurezza alle persone e accompagnino le trasformazioni sociali, industriali e occupazionali.
Un nuovo welfare-energetico climatico – questa è la proposta alla quale il Forum disuguaglianze e diversità sta lavorando insieme ad altre realtà ambientaliste e attive nel sociale – in grado di connettere politiche ambientali e politiche sociali.
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