In un momento in cui i cambiamenti sono più veloci delle notizie che scorrono sui nostri tablet, diventa difficile immaginare come sarà etichettata l’epoca in cui stiamo vivendo. Forse più del Covid o del riscaldamento globale saranno le bollette che stiamo per ricevere a dare un nome al nostro futuro. Ad essere davvero “storico” non sarà tanto il loro costo, quanto piuttosto il loro significato. Quelle cifre saranno simbolo della rivoluzione che sta vivendo la politica contemporanea, costretta, per la prima la volta dopo molto tempo, a decidere guidata da valori differenti dal semplice benessere economico.

Dalla rivoluzione industriale l’economia si è progressivamente imposta come un sostituto di tutte le architetture valoriali che da secoli hanno governato la vita degli uomini: la religione, l’amore per la patria, l’uguaglianza.

Persino il default dell’Unione sovietica è stato causato non tanto dai conti per le Guerre stellari o per i danni di Chernobyl, ma perché il modello economico che avrebbe consentito di pagarli non riusciva a coesistere con il vecchio modello valoriale dell’Urss. Ancora prima del rublo, era stata la politica sovietica a crollare.

Se l’economia era riuscita a vincere un confronto ideologico che durava da 40 anni, allora il capitalismo liberale poteva davvero estendere il suo dominio su ogni possibile forma di visione, trascinando nel suo trionfo anche la nazione che lo aveva messo al centro della propria identità.

L’unipolarismo strategico, politico, culturale che si irradiava dagli Stati Uniti filtrava ogni possibile sguardo sulla realtà, così come un nuovo modello di totalitarismo economico diventava un “monopolarismo”, in grado di influenzare il Pil dell’intero pianeta.

Questo sistema ha guidato il nostro sviluppo nell’arco degli ultimi 30 anni, diventando assiomatico quanto una religione. La logica economica finanziaria ha regolato le nostre relazioni e definito le nostre scelte, a cominciare proprio da quelle che erano squisitamente politiche. Qualcuno ha osservato come a contare non fossero più Roma o Berlino, ma Milano, Francoforte e le sedi delle Borse Mondiali.

Oggi, con il protrarsi della guerra in Ucraina, non solo la globalizzazione sembra essere stata uccisa dal ritorno del bipolarismo strategico e militare esistente prima del 1989, ma anche il monopolarismo economico è stato sfidato dalla multidimensionalità delle prospettive che si sono aperte. Improvvisamente sono entrati in gioco altri fattori decisionali oltre l’andamento dei mercati: innanzitutto le mai sopite visioni di una società diversa, ma anche le interpretazioni della storia, l’imperialismo fondato sull’orgoglio dei popoli, le affinità e le divergenze tra le identità.

Un completo cambio di paradigma per il mondo e per la nostra politica, tornata alla necessità di fare scelte spinte da motivi ideologici, anche a discapito delle proprie finanze. Scelte che sembrano sconcertare noi, assuefatti da 30 anni di sguardi di analisi dei mercati, quanto i nostri stessi rappresentanti chiamati ad attuarle.

Sarà interessante vedere come affronteranno questo cambiamento le diverse forze politiche e specialmente quelle che per anni hanno promesso ai cittadini prima di tutto benessere e stabilità nei loro conti correnti. Riusciranno a conciliare questo nuovo multipolarismo valoriale con quello contenuto nel loro Dna? Perché sarà nel loro nome che si aprirà un’epoca caratterizzata, oltre che dai cambiamenti geopolitici, anche da quelli ben più rilevanti del nostro pensiero.

© Riproduzione riservata