Il tiro alla segretaria del Pd è assurto a sport nazionale, oggetto di critiche le più disparate e anche di opposto segno. Da ultimo quelle di un europarlamentare Pd uscente (ma forse rientrante in altra lista) che la considera poco di sinistra e la bersaglia con un profluvio di esternazioni sui giornali di destra. Sono approdato a un passo dalla convinzione che quello di segretario/a Pd sia non già un mestiere difficile, ma impossibile. Al netto degli errori e dei limiti di chi quel mestiere lo svolge pro tempore.

Sfilata di leader

Ad avvalorare tale conclusione non sta solo la saga dei dieci e più segretari che si sono succeduti in tale responsabilità. Mi spiego. Si sostiene, non a torto, che, pur avendo archiviato la versione spinta (sino alla velleitaria presunzione di autosufficienza) della cosiddetta “vocazione maggioritaria”, lo statuto ideale del partito prescriva un pluralismo interno, la tensione a includere culture e orientamenti politici diversi. Di centro e di sinistra; di una sinistra moderata e di una sinistra radicale, laici e cattolici. Naturalmente nel presupposto che le sue molteplici anime coltivino uno spirito dialogico e inclusivo.

La sintesi si fa invece problematica quando, su un versante, l’anima più di sinistra si contenta di un ruolo meramente testimoniale e, sul versante opposto, si indulge al “governismo”, attestandosi su posizioni liberiste e iper-atlantiste che non si discostano sostanzialmente da quelle della destra. Quelle di chi, nel Pd, si spinse a considerare il sostegno a Monti prima e a Draghi poi non già un congiunturale, necessitato atto di responsabilità, ma l’inveramento della stessa ragione politica del Pd. Dunque, due prospettive divaricate e non componibili.

Lo stesso vale per la polarità tra passato e presente: tra eredi della filiera Pci-Pds-Ds ed eredi di quella Dc-Ppi-Margherita; o, più avanti, tra chi la torsione renziana l’ha sposata senza riserve e chi l’ha osteggiata o subita. Ancora: tra laici inclini a un laicismo ideologico e militante e “cattolici” (le virgolette sono d’obbligo) che, presuntuosamente, si intestano la rappresentanza di una categoria religiosa (il cattolicesimo) anziché politica. Cosa che non osano più fare neppure Papa, vescovi e preti. Tra l’altro con una curiosa schizofrenia: reattivi sulle questioni etiche, assai meno su altri fronti quali la questione sociale e soprattutto la pace e la guerra cui pure dovrebbero essere sensibili i suddetti “cattolici”.

Ulteriore polarità quella che attiene alla singolare, ambivalente forma-partito del Pd. Ove lo strumento delle primarie per eleggere il leader, di natura sua, conferisce ad esso forte legittimazione, autonomia e protagonismo nel mentre, per converso, si ambisce a proporsi come il… partito più partito, ovvero come associazione politica connotata da democrazia interna e organi collettivi di direzione politica. Esibendo esso solo, il Pd, il termine “partito” nel nome.

Le correnti

Queste molteplici polarità possono essere governate a condizione che, in tutti, prevalga appunto lo spirito unitario e la coscienza di partito. È ingeneroso osservare che essi piuttosto difettano? che all’assedio esterno semmai si somma un certo assedio interno a chi guida il Pd? Qui il noto “hic rhodus”. Usa attribuire il gene divisivo del Pd a un patologico correntismo. Giova essere meno superficiali e più precisi nella diagnosi, considerando le ascendenze del Pd.

Esso, più di altri, è l’erede di signori partiti che hanno forgiato la storia della democrazia italiana. Con implicazioni positive e negative. Positive, specie nello spessore delle culture politiche e nella qualità di una classe dirigente sperimentata. Meno improvvisata o meno… “underdog”. Ma anche negative: un ceto politico professionale esteso e ingombrante che non brilla per distacco e generosità. Sempre preoccupato di trovare sistemazione.

Raramente ci si imbatte in politici o amministratori di un certo livello che concepiscano il proprio impegno nelle istituzioni come un servizio civico a termine. Per poi tornare alla propria professione (che spesso non hanno). Si veda la esorbitante pressione per fare cadere il limite dei mandati o per accaparrarsi un posto nelle liste per l’europarlamento degli amministratori in scadenza. Anche perché, non più al governo, per il Pd si è sensibilmente ridotta la possibilità di collocare ex politici nelle banche, negli enti di Stato e del parastato, nelle lobby, nelle organizzazioni internazionali.

Trattasi di un dato (e di un vincolo) strutturale e materiale, prima che culturale, del partito. Solo che esso interagisce con le polarità già di loro difficili da governare cui si è fatto cenno. Tutte le attese e le tensioni si scaricano sul leader, il cui mestiere è al limite dell’impossibile. Dunque il problema non sono le correnti ma l’indice di strumentalità inscritto in divergenze politiche enfatizzate con le quali si rivestono più modeste ambizioni personali.

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