Per alcuni anni, nel primo decennio di questo secolo, ebbe particolare risalto un partito poi scomparso, l’Italia dei Valori (IdV), guidato da uno dei protagonisti dell’inchiesta milanese di Mani pulite, Antonio Di Pietro. L’Idv si presentò alle urne per la prima volta nel 2001 sfiorando il 4 per cento, risultato che confermò nel 2008 quando si presentò, nella sorpresa generale, insieme al Pd veltroniano; e, infine, toccò il tetto delle sue fortune alle Europee del 2009 con l’8 per cento dei voti.

I successi di quegli anni, corroborati da alcuni exploit nelle elezioni amministrative (Leoluca Orlando a Palermo e Lugi di Magistris a Napoli) proiettarono il partito nell’empireo dei partiti rilevanti.

Il suo antiberlusconismo a tutto tondo e le filippiche contro la corruzione, condite da un linguaggio ruvido e senza sconti, creavano un certo disagio nel Pd perché risuonavano con i sentimenti di buona parte della sua base.

E i commenti dell’epoca enfatizzavano l’affanno dei democratici di fronte alla tambureggiante polemica dipietrista. Poi l’Idv si avvitò in una politica di opposizione a testa bassa contro il governo Monti rompendo ogni legame, già sfilacciato peraltro, con il Pd e infine crollò in un battibaleno quando vennero lanciate accuse (poi rivelatesi infondate) sulla malversazione di fondi pubblici e arricchimenti personali di Di Pietro.

L’alternativa

In realtà l’Idv si inabissò perché, oltre a quelle accuse e ai conflitti interni derivati, era sorto un concorrente ben più appealing che si muoveva, anche ma non solo, sulla lunghezza d’onda dell’anticorruzione e dell’opposizione populista e antipolitica: il Movimento 5 stelle.

La parabola dell’Idv fornisce una cartina di tornasole per individuare eventuali sviluppi futuri dei pentastellati.  Alcune somiglianze colpiscono: dalla figura simil-carismatica dei fondatori alla passione per l’informatica (Di Pietro fu un precursore dell’uso dei computer nella procura di Milano e impostò parte della comunicazione dell’Idv attraverso la realtà virtuale second life), dalla foga anti corruzione alla critica indifferenziata e nebulosa verso il sistema.

Altri aspetti approfondiscono invece le differenze. In primis l’elaborazione teorico-politica sia dell’impianto ecologista del primo Grillo delle Cinque stelle, sia del funzionamento della democrazia, imperniato sulle virtù taumaturgiche delle rete, elemento centrale per una democratizzazione della vita politica tanto all’interno del partito quanto all’esterno, nel sistema politico. 

Poi quel mix di decisionismo top-down della leadership unito all’assoluta autonomia dei meet-up e degli eletti locali, e la lunga fase di alterità assoluta al sistema dei partiti rifiutando ogni alleanza, fino al 2018. Infine il M5s, oltre ad aver ottenuto imparagonabili successi elettorali, è riuscito a istituzionalizzarsi al punto da superare la scomparsa, fisica e politica, dei due fondatori.

Cambiamenti

I Cinque stelle di fine 2022 sono comunque molto diversi da quelli emersi all’inizio della scorsa legislatura. Il trionfo elettorale del 2018 è stato intaccato dalla volubilità delle scelte politiche e delle alleanze, e dal percorso tortuoso nella successione alla leadership.

Le dimissioni di Luigi Di Maio dal ruolo di capo politico, nel gennaio del 2020, hanno avviato un lungo e tormentato processo di ridefinizione dell’organizzazione interna approdata (inevitabilmente) nelle mani di Giuseppe Conte, nonostante l’iniziale scomunica, poi rientrata, di Beppe Grillo.

Queste convulsioni interne si sono associate, con un effetto di causa-effetto di difficile individuazione, a una linea politica sussultoria, dall’alleanza con la Lega a quella con il Pd, per approdare al sofferto sostegno al governo Draghi (causa di una corposa scissione) e infine alla rottura dell’estate scorsa.

Senza identità

La questione è se il M5s, dopo tutte queste altalene politiche, abbia ancora un futuro o possa essere preda di un collasso improvviso come nel caso dell’Idv. 

Il recupero elettorale e nei sondaggi può essere ingannevole perché si deve ad un appannamento del Pd, additato da tutti – e pure da sé stesso – come il grande perdente. Ma il partito democratico ha spalle larghe e solide tradizioni ideologiche e politiche, qualunque sia quella scelta al congresso.

Il M5s vive invece alla giornata. Ha innalzato la bandiera dell’opposizione radicale ma non è chiara né l’ideologia di fondo – la democrazia digitale costituisce ancora il fondamento ideale del partito? – né quella originaria dell’ecologismo a Cinque stelle.

Essendo ormai inutilizzabile la polemica antipolitica, il M5s contiano spinge su tematiche contingenti, come la difesa del reddito di cittadinanza o i distinguo sul conflitto ucraino, senza però avere una prospettiva di lungo periodo.

In sostanza anche la spinta propulsiva dei pentastellati sembra in via di esaurimento. I buoni sondaggi del momento sono destinati a volatilizzarsi in mancanza di una elaborazione cultural-politica adeguata. E a maggior ragione se il Pd, chiusa la fase congressuale, riprende in mano la fiaccola dell’opposizione. In questo scenario al M5s basta una buccia di banana per scivolare precipitosamente nei consensi. La definizione di una propria, chiara, identità non riguarda solo il Partito democratico.

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