Dopo l’ammutinamento di Evgenij Prigožin di sabato scorso sembra che al Cremlino tutto sia tornato alla normalità, come se non fosse successo niente. Il presidente russo Vladimir Putin ha presenziato a una cerimonia con il personale militare riunito al Cremlino per elogiare«“il coraggio e l'auto-sacrificio dei piloti-eroi caduti per salvare la Russia da conseguenze tragiche devastanti». Ha, inoltre, rivolto un breve discorso alla nazione per sancire la conclusione della rivolta della Wagner, affermando che «la rivolta armata sarebbe stata soppressa in ogni caso». Aggiunge anche che i mercenari avranno «l'opportunità di continuare a servire la Russia firmando un contratto con il ministero della Difesa o con altre agenzie, oppure potranno tornare dalle famiglie e dagli amici. Chiunque vorrà, potrà andare in Bielorussia».

Infine, il presidente russo parte per un viaggio nella regione del Caucaso settentrionale del Daghestan per un incontro sul tema del turismo nella regione russa a maggioranza musulmana, accompagnato dagli ufficiali con la valigetta con i codici nucleari, visita una moschea (mentre in Svezia il governo acconsente a una manifestazione pubblica in cui si brucia il Corano…), e posa per le foto nel “bagno di folla” di Derbent, per la prima volta dopo la pandemia. Sul viaggio in Daghestan, però, evitiamo di fare i soliti paragoni con il golpe del 1991. No, Putin in Daghestan non è come Michail Gorbačëv in Crimea.

Diversa la situazione politico-economica degli anni Novanta con quella di oggi, stili di leadership imparagonabili e, soprattutto, un ruolo politicamente più centrale dell’apparato di sicurezza da quando Putin è al potere. Semmai, può essere un’argomentazione più convincente, basata forse più su un auspicio che su una reale eventualità, che sottolinea i pochi mesi intercorsi tra il tentativo di golpe e la caduta dell’URSS nel dicembre del 1991. Nel frattempo, le notizie non del tutto ancora verificate o attendibili cominciano a dipanare la ingarbugliata matassa su chi ha vinto e chi ha perso in questa lotta per il potere. Per il momento, si può solamente constatare che il capo del Cremlino sta cercando di rassicurare l’opinione pubblica per sconfessare coloro che hanno evidenziato, anche nei quotidiani filogovernativi russi, la vulnerabilità del presidente e, contestualmente, lanciare dei messaggi al suo inner circle (il giardino d’oro).

Se c’è un aspetto positivo per Putin da questa vicenda è la consapevolezza/conferma di chi sono attualmente le persone leali nella gerarchia militare e nell’apparato di sicurezza. Forse, questo spiega in parte le contradditorie informazioni sull’arresto o meno del generale Sergej Surovikin o di avvicendamenti in corso nel Cremlino. Non è nello stile di Putin attuare delle purghe di staliniana memoria, ma, come rileva la ricercatrice del Carnegie Centre, Tatiana Stanovaja, semplicemente il presidente russo suddivide gli individui in “traditori”, “eroi” o “anime perse” (il capo e i mercenari Wagner) che meritano di essere perdonate.

Tralasciando le dinamiche interne alle torri del Cremlino, un recente sondaggio dell’istituto indipendente “Levada Center” rileva che gli eventi del 24 giugno hanno provocato una leggera diminuzione della fiducia nei confronti del ministro della difesa, Sergej Šojgu, e del capo dei mercenari Prigožin. Rispetto a maggio la fiducia scende dal 10 all’8 per cento per Šojgu, che rimane comunque il quarto politico più apprezzato, mentre per Prigožin dal 4 al 2 per cento, ormai «sul punto di abbandonare i primi dieci politici più popolari» in Russia. Rimangono inalterati, invece, i valori nei confronti del presidente Putin e degli esponenti del governo e circa il 61 per cento degli intervistati ritiene che «le cose nel paese stiano andando per il verso giusto».

Non vogliamo basarci sui sondaggi nei regimi autoritari? Chi conosce e interagisce con la realtà sociale e culturale russa sa che gli atteggiamenti anti-élite del popolo russo non necessariamente coincidono con quelli anti Putin o anti guerra. Non ci resta che attendere mentre la guerra continua.


 

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