Nelle sue interviste, nei suoi scritti, nelle sue tante apparizioni pubbliche Aboubakar Soumahoro ha sempre omesso di esplicitare che un pezzo della sua famiglia operava nel settore al centro delle sue battaglie politiche, quello dell’accoglienza.

Questo genera un primo conflitto di interessi che, come abbiamo ricordato nei casi di Guido Crosetto e Daniela Santanché, è una condizione oggettiva: le iniziative politiche di Soumahoro riguardano direttamente non soltanto il business (l’accoglienza), ma anche il committente (il ministero dell’Interno) della cooperativa Karibu gestista dalla moglie e dalla suocera, Liliane Murekatete e Marie Terese Mukamitsindo.

Quando il sindacalista degli “Invisibili” Aboubakar si batteva contro Matteo Salvini e i suoi interventi per ridurre fondi e tutele ai richiedenti asilo stava anche occupandosi del settore di famiglia.

Finora non c’è alcuna evidenza di scorrettezze da parte del neo-deputato indipendente eletto dalla coalizione progressista nelle fila di Verdi e Sinistra italiana. Niente scorrettezze, ma omissioni e superficialità.

Come ricostruito da Domani, le denunce sui mancati pagamenti ai dipendenti della cooperativa e sulle cattive condizioni riservate ai migranti sono vecchie di almeno tre anni.

I sindacalisti della Uil da tempo accusano Soumahoro. Il quotidiano La Verità ne aveva dato conto già a fine agosto, in piena campagna elettorale.

Questo significa due cose. Primo: Soumahoro oggi non può prendere le distanze da moglie e suocera, non può chiamarsi fuori da questa storia. Sapeva che c’erano i problemi, sapeva che la sua visibilità pubblica li avrebbe portati sui media, ha avuto tutto il tempo per farsi un’idea della situazione (e magari per provare a risolverla, visto che quello è il suo campo). Quindi, o ha colpevolmente trascurato la vicenda, o ha pensato che il suo status di paladino dei più deboli lo mettesse al riparo dalle accuse.

Secondo: i partiti che lo hanno candidato non hanno fatto il loro dovere. Sinistra Italiana, i Verdi, ma anche il Pd che ha presentato il sindacalista come uno dei nomi di punta della coalizione, non hanno verificato il suo passato e non hanno elaborato una strategia per gestire la bomba che ticchettava

I giornali possono scrivere soltanto quando hanno evidenze incontrovertibili, o quando c’è una iniziativa giudiziaria – come l’inchiesta della procura di Latina – che comporta accertamenti visibili e raccontabili. Ma i partiti possono fare valutazioni di opportunità anche in assenza di simili dati e scegliere con più cautela quali bandiere sventolare.

Adesso politici e giornali di destra si compiacciono degli schizzi di fango non sugli stivali da bracciante scelti da Aboubakar per il suo debutto in parlamento, ma sulla sua reputazione e sulle cause che rappresenta: niente dà più soddisfazione di un eroe che finisce nella polvere, perché se gli eroi sono fallibili, allora tutti noi ci possiamo sentire assolti dalle nostre mancanze.

Le battaglie di Aboubakar restano però quelle che ogni sinistra dovrebbe portare avanti: per gli ultimi, per i senza rappresentanza, per gli sfruttati.

Lui non è e non potrà più essere il campione di quella lotta, perché non ha saputo mantenere la giusta distanza da chi causa i problemi che ha sempre denunciato, e perché non è stato sufficientemente accorto nel gestire le vicende di famiglia.

Ma quelle cause continuano ad aver bisogno di rappresentanza, magari organizzata, seria. Con meno eroi mediatici e più proposte di legge.

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