Sareste disposti a fare un sacrificio oggi per qualcosa che vi tornerà utile tra 30-50 anni? La risposta dipende probabilmente da molte variabili: la vostra età, il prezzo richiesto e, non ultimo, se avete a chi lasciare gli eventuali profitti di un investimento così a lungo termine. In ogni caso una simile proposta non si presenta come una strategia di marketing particolarmente indovinata, specie se chi la avanza non è in grado di offrire garanzie puntuali sul risultato, ma in compenso vi assicura che i sacrifici saranno immediati.

È comprensibile come a molte persone possano sorgere dubbi analoghi quando si delinea la necessità di porre un freno al nostro modello di sviluppo per fermare la catastrofe ambientale verso cui corriamo. Allo stesso modo non stupisce che la nuova legge europea sul Ripristino della natura abbia spaccato in due l’emiciclo del parlamento europeo nei giorni passati.

Il progetto di ripristinare tutti gli ecosistemi terrestri e marini dell’Unione europea entro il 2050 è un proposito tanto ambizioso quanto condivisibile, ma è accompagnato da inevitabili dissensi di parte dei cittadini che rivendicano l’utilizzo di quelle aree per la loro sussistenza.

Solidarietà vs sostenibilità 

In realtà, alla base delle perplessità, c’è una contesa molto più antica dell’emergenza climatica, un bivio che la politica deve affrontare ogni qual volta esamina questioni di lungo termine: scegliere se privilegiare la solidarietà nel presente oppure la sostenibilità nel futuro. Di fronte ad una crisi economica, è meglio applicare rigidi protocolli tecnici che permetteranno di rimettere in sesto la nazione anche se a scapito di gravosi oneri sociali, oppure considerare che anche il benessere immediato delle persone contribuisce al suo sviluppo? In medicina, applicare rigidamente una “cura” senza valutare ogni altra condizione del paziente rischia di guarirlo dalla malattia solo per ucciderlo per le conseguenze del trattamento.

Elemento determinante per convincerci ad accettare una “ricetta per il futuro” diventa dunque la fiducia in chi ce la propone. Esercizio ancora più complesso se si ha a che fare con due opposti modelli di “acquirenti”: da un lato chi considera il progresso come un orizzonte inesorabile che è nel destino dell’umanità, dall’altro coloro che quello stesso progresso lo guardano con disagio e diffidenza, così intimoriti o colpiti dalle privazioni insopportabili da esso causate, da non riuscire a immaginarsi in alcun modo ricompensati in un domani incerto.

Immaginare il futuro

È difficile persuadere due prospettive così differenti ad optare per la medesima scelta. Chiunque intenda presentarci un sacrificio come inevitabile per il futuro dovrà prima di tutto riuscire a conciliare le opinioni di chi, nel bene o nel male, è destinato a viverlo. In primo luogo, ricordandoci che il progresso non è mai “inesorabile”: si tratta piuttosto di un’aspirazione che ci appartiene collettivamente e che modelliamo attraverso le nostre scelte. Allo stesso tempo prestando ascolto ai timori di coloro che da quel processo si sentono minacciati e alle rivendicazioni di chi, a causa di esso, ha già perso tutto.

È necessario guardare all’orizzonte con la consapevolezza che stiamo tutti percorrendo il medesimo viaggio e persino chi lo affronta con timore o con dolore può offrire il proprio contributo su come compierlo. Forse comprenderemo come la scelta che ci è stata posta dinanzi non proviene da altri se non da noi stessi.

È chiaro allora come la politica non dovrebbe avere il compito di “venderci il futuro”, ma piuttosto di metterci nelle condizioni di immaginarlo insieme, dandoci l’opportunità di confrontare idee e identità, ascoltando le voci sia di chi vede in un avvenire di progresso un favoloso processo inarrestabile, sia di chi sente piuttosto il bisogno di concentrarsi sull’urgenza del presente. Allora quella che consideriamo una richiesta di sacrificio può trasformarsi in una preziosa risorsa, capace, ancora una volta, di tracciare un percorso diverso attraverso cui salvarci.

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