Nei giorni scorsi un gruppo di professionisti del lobbying ha presentato un appello al governo affinché intervenga con urgenza a regolare la relazione tra interessi particolari e decisori pubblici, così da distinguere i lobbisti seri dai tanti affaristi che tentano, in virtù di rapporti di clientela e parentela, di influenzare la politica.

L’appello è stato firmato da importanti e noti professionisti del settore come, tra gli altri, Gianluca Comin e Fabio Bistoncini che rappresentano, per certi versi, i padri fondatori del mestiere in chiave moderna.

L’appello è semplice e chiaro: chi firma è stufo di essere confuso con i faccendieri e rivendicano, con orgoglio, di essere uno strumento della democrazia partecipativa ma, al tempo stesso, riconoscono che l’assenza di regole giustifica tanta confusione.

Non servono, però, dicono i lobbisti, disposizioni punitive ma regole chiare che favoriscano la trasparenza, il dialogo e la reciprocità nel rapporto tra rappresentanti di interessi e decisori.

Colpisce, tuttavia, che a chiedere tanta chiarezza sottoscrivendo l’appello alla presidente Giorgia Meloni siano stati una ottantina di professionisti ovvero circa un nono degli operatori del settore (basti pensare che solo presso le istituzioni dell’Unione europea sono registrati 530 lobbisti italiani).

La sponda del M5s

A ogni modo l’appello è stato subito raccolto da Giuseppe Conte che ha presentato, nei giorni scorsi, i disegni di legge a prima firma Francesco Silvestri e Maria Domenica Castellone per disciplinare il lobbying e prevenire i conflitti di interessi dei decisori pubblici.

Nella scorsa legislatura, proprio il disegno di legge Silvestri era entrato nel guinness dei primati essendo stato il primo, in materia, a essere stato approvato da un ramo del parlamento (salvo poi arenarsi nell’altro).

Dallo stesso partito, qualche giorno fa, è arrivata una interrogazione su questo stesso tema al ,inistro della Giustizia Carlo Nordio. Il ministro, nella sua risposta, pur avendo confuso il numero dei disegni di legge sul lobbying a oggi presentati dichiarando che sono 67 quando, in realtà, sono 109, ha riconosciuto la necessità di un intervento del legislatore, sostanzialmente ribadendo quanto aveva già affermato in una intervista al Corriere della Sera nel dicembre 2022.

Italia fanalino di coda

Che il tempo sia scaduto e sia urgente intervenire non ce lo dicono solo le cronache giudiziarie di questi giorni ma lo ribadisce il GRECO ovvero il gruppo di stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa che provvede al monitoraggio della conformità dei suoi 49 stati membri con gli strumenti di lotta alla corruzione previsti dall’ordinamento internazionale.

L’Italia, al riguardo, è il fanalino di coda, insieme all’Ungheria, e ancora qualche mese fa è stata nuovamente ammonita per non aver disciplinato la materia, consentendo, da un lato, ai politici di rappresentare direttamente in parlamento interessi particolari (e, per certi versi dunque, di fare essi stessi i lobbisti in modo improprio) e, dall’altro, a chiunque di esercitare la professione di lobbista senza alcuna regola di trasparenza.

Poco meno di un anno fa, a marzo 2023, la stessa Commissione europea ha richiamato l’Italia sul tema e, nell’annuale rapporto sullo “stato di diritto”, l’ha invitata ad adottare una normativa organica sul conflitto di interessi e sul lobbying, introducendo un registro pubblico degli incontri e la così detta «impronta legislativa», ovvero un sistema che renderebbe conoscibile il vero estensore di ogni norma proposta da un decisore politico.

Tutto è pronto, dunque, perché il governo passi dalle parole ai fatti. Sarebbe un segnale importante, anche sul piano internazionale, e potrebbe rappresentare un felice punto di unione tra maggioranza e opposizione.

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