Nonostante gli scettici, non si è fermato il percorso della giustizia penale internazionale per perseguire i crimini di guerra e contro l'umanità perpetrati in particolare contro la popolazione civile in Ucraina. All'esordio del conflitto l'avvio di indagini da parte della Corte penale internazionale era stato annunciato dal procuratore Karim Khan, anche grazie alla scelta iniziale intrapresa da 43 Stati, fra i quali l'Italia, di promuovere l'azione congiunta di referral sulla situazione Ucraina.

Come si è arrivati al mandato

Da allora si è giunti a definire un modello giurisdizionale ad hoc inquadrato nel sistema della Corte, dove in osservanza al principio di complementarietà si è tenuto conto delle prove acquisite dalla procura ucraina ma, anche per garantire neutralità e indipendenza della giurisdizione, si è concepito un nuovo modello di cooperazione basato su squadre investigative comuni e su intese con le Nazioni Unite, Eurojust, il Consiglio d'Europa, la Rete europea contro il genocidio e le varie autorità giudiziarie europee.

Il provvedimento di arresto è circoscritto probabilmente al crimine che ha suscitato una grave esecrazione della comunità internazionale e su cui gli elementi di prova possono ritenersi più ampiamente riscontrati: persino un report dell’università di Yale ha potuto documentare la deportazione di 6mila bambini ucraini in 43 "strutture rieducative" russe, mentre altre inchieste di ong indipendenti hanno parlato di oltre 16mila minori trasferiti in Russia sotto la mistificazione di un “programma patriottico e umanitario”. Il procuratore Khan in una dichiarazione ufficiale ha quindi lanciato il monito: «I bambini non possono considerarsi come  bottino di guerra».

Le imputazioni formulate nel provvedimento della Pre-Trial Chamber (la camera preliminare) sono circoscritte ai due principali responsabili, con l’evidente intenzione di confermare la giurisdizione della Corte di perseguire prioritariamente i cosiddetti leadership crimes.

I crimini del leader

Il comunicato ufficiale dei giudici dell’Aja indica quali destinatari del mandato d’arresto dunque il presidente della Federazione russa Vladimir Vladimirovich Putin e il Commissario per i diritti dei minori presso l’ ufficio del Presidente della federazione russa Maria Alekseyevna Lvova-Belova, una figura alquanto controversa in quanto madre di 18 figli adottati oltre che di 5 biologici. 

Le responsabilità sono ricondotte essenzialmente a due principali capi d’accusa. Il primo concerne il crimine di guerra di «deportazione illegale della popolazione (bambini)» e di «trasferimento illegale di popolazione (bambini)» dalle zone occupate dell'Ucraina alla Federazione russa, condotta sanzionata dallo Statuto di Roma all’ articolo 8 para 2 lettera a (sub vii), in quanto violazioni gravi alla Convenzione di Ginevra sulla tutela della popolazione civile, e all’articolo 8 para 2, lettera b (sub viii), in quanto «violazione alle leggi e agli usi applicabili nel quadro consolidato del diritto internazionale sui conflitti armati internazionali».

L’altro capo d’accusa riguarda invece il tipo di responsabilità soggettiva di cui sono diversamente ritenuti imputabili i due attori. Per il Commissario per i diritti dei minori Lvova-Belova si tratta della responsabilità penale configurabile a titolo individuale e anche di concorso insieme ad altre persone (articolo 25, paragrafo 3, lettera a dello Statuto di Roma), il che fa presumere che tanto la Corte dell’Aja quanto le autorità giudiziarie ucraine abbiano in corso altri procedimenti a carico di vari soggetti nei cui confronti potranno adottarsi analoghi provvedimenti.

La «responsabilità di comando»

Più seria e articolata è invece la posizione di Putin, dove oltre alla stessa responsabilità a titolo individuale e di concorso viene imputata anche la «responsabilità di comando» prevista dall’articolo 28 dello Statuto di Roma, e segnatamente per avere consentito la commissione dei crimini da parte dei suoi sottoposti civili e militari, e/o per non avere esercitato il dovuto controllo.

Qui il percorso della giustizia penale internazionale viene ad assumere un valore universale in quanto si conferma un principio che qualcuno ancora aveva posto in discussione, ovvero che anche per un capo di stato in carica per in crimini internazionali previsti dallo statuto della Corte penale internazionale non vigono regole di immunità, ed anzi ad esso si imputa la più ampia «responsabilità di comando».

La vicenda del mandato d'arresto nei confronti del presidente Putin è comunque destinata a suscitare polemiche soprattutto da parte di chi si pone nei confronti del percorso della giustizia penale internazionale con scetticismo, distacco ideologico o con la logica della cosiddetta realpolitik delle relazioni internazionali.

Obiezioni e pregiudizi

Una prima obiezione potrebbe riguardare la osservazione che molti altri crimini sono purtroppo stati eclatanti nella guerra in Ucraina. Non solo esodi forzati, ma stupri, saccheggi, segni ignobili della rabbia degli occupanti  lasciati sui cadaveri nelle strade e nelle fosse comuni si sono avuti a Bucha, Makariv, Kramatorsk, Mariupol e in altre città martoriate da assedi medievali. Esplosioni devastanti hanno colpito palazzi abitati da famiglie, ospedali, scuole, centri culturali e religiosi, e si hanno riscontri dell'impiego di armi termobariche e di bombe a grappolo, vietate dalle Convenzioni internazionali, mentre si è giunti anche ai bombardamenti su acquedotti e centrali elettriche, volti solo a fiaccare la popolazione in violazione di ogni regola di «necessità militare».

Rispetto a questo vale però considerare quanto già ufficialmente anticipato dallo stesso Procuratore Khan che in questa fase si è voluto concentrare sui crimini più documentati: «Non esiteremo a presentare ulteriori richieste di mandato d'arresto quando le prove ci consentiranno di farlo».

Tuttavia i pregiudizi sul ruolo della giurisdizione penale internazionale si presentano più insidiosi quando si sostiene che il provvedimento nei confronti di Putin da un lato potrebbe inasprire il quadro già compromesso di un possibile negoziato e dall'altro rilevarsi di fatto inefficace.

Arrestabile ovunque all’estero

Anche a queste osservazioni si può replicare con due obiezioni: nessun segnale è venuto da Putin circa la reale intenzione di far cessare la guerra, e neanche la Cina è stata finora capace di convincerlo a riprendere la via del dialogo diplomatico.

L’argomento per cui sarà difficile eseguire il mandato d’arresto è pure scontato, ma in ogni caso Putin e i suoi funzionari non potranno recarsi all’estero, perché vale il principio di universalità dei crimini internazionali, e non solo nei 123 stati che hanno ratificato lo statuto della Corte.

Il mandato d’arresto della Corte penale internazionale rimarrà una spada di Damocle per tutta la vita e ovunque: i crimini internazionali non prevedono prescrizioni o immunità e sono perseguibili senza limiti di territorialità, atteso che qualunque stato, anche se non ha ratificato lo Statuto, può comunque affermare la giurisdizione della Corte e richiamare i principi del diritto internazionale consuetudinario.

Il verdetto rilancia la Corte

In ogni caso appaiono solo pregiudizi poco attenti ai risvolti internazionali le tesi di chi ritiene che la Corte penale internazionale sia irrilevante, mentre si può facilmente obiettare che, come il sistema delle sanzioni, anche quello della giustizia penale rappresenta una forma di condanna all'isolamento internazionale di un autocrate che ha deliberatamente scelto di violare le norme fondamentali del diritto internazionale, fino a segnare i momenti più infimi di arretramento rispetto ai principi umanitari affermati in particolare con le Convenzioni di Ginevra.

Alle Nazioni Unite si parla già di oltre 70mila crimini internazionali imputabili alla Russia per la sua ostinata guerra condotta soprattutto contro la popolazione, e non è escluso che le prossime imputazioni per Putin e la sua nomenclatura possano essere quelle per i «crimini dei crimini»: l'aggressione internazionale e il genocidio.

Potrebbe essere anche questa prospettiva a far allargare ancora il numero delle adesioni dei già 141 stati che alle Nazioni Unite hanno approvato le Risoluzioni di condanna per la Russia e a definire meglio un quadro giuridico per un percorso di pace che risulti valido e sostenibile.

Uno scenario che, nel già compromesso "fronte interno", potrebbe sollecitare quel popolo russo - che pure si interroga con molti dubbi sulla scelta della guerra - a una maggiore consapevolezza delle proprie responsabilità di fronte all'umanità. 

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