È doveroso tradurre il semplice in complesso, qualche volta. È desiderabile dare sostanza alle dichiarazioni lapidarie, qualche volta. Traduco e dò sostanza, quindi, a quanto ho detto sul Manifesto dei valori del Pd del 2007 nel corso del primo incontro del Comitato costituente del Partito democratico e che ha generato reazioni critiche legittime: che è «brutto, bolso, illeggibile, fatto di parole d’ordine, di burocratese».

Per tutte le stagioni

 Avrei dovuto dire “inservibile” e avrei evitato quella lista di aggettivi. Il Manifesto dice tutto il dicibile, tiene insieme propositi e ideali che insieme non possono onestamente stare quando devono essere messi in atti. Trattandosi della carta di identità di un partito politico, quella vaghezza è quanto di peggio si possa avere, a meno che non sia stata disegnata col proposito di consentire progetti tra loro contrastanti, di consentire un partito adatto a tutte le stagioni. Farò pochi esempi.

Il Manifesto dice: «Il Partito Democratico si impegna ... a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale». E invece il Pd ha promosso una della più aggressive campagne per la riforma della Costituzione, lacerando prima di tutto il partito che non ha più recuperato la sua unità.

Il Manifesto dice: «Cruciale è la dignità del lavoro, che dev’essere difesa e valorizzata in tutte le sue espressioni. ... ed è questo a richiedere non la riduzione del lavoro a merce precaria esposta a continui pericoli anche mortali, bensì la sua tutela e la valorizzazione del suo ruolo sociale. ... Nessun paese può essere fondato su lavori “precari” e su “vite di scarto”». E invece il Pd al governo ha regalato al paese la riforma dello statuto dei lavoratori più precarizzante e umiliante per i lavoratori che l’Italia abbia avuto. Il “Jobs Act” è il prodotto di quel Manifesto dei valori.

Il Manifesto dice: «I democratici sostengono i valori dell’autonomia e del federalismo in quanto promotori delle capacità di autorganizzazione». Significa questo che il Pd vuole fare dell’Italia una repubblica federale? Che crede che la coesione debba essere dei territori ovvero che vuole il religionalismo differenziato?

Il Manifesto dice: «Compito dello Stato non è interferire nelle attività economiche, ma fissare le regole per il buon funzionamento del mercato, per mantenere la concorrenza anche con politiche di liberalizzazione e per creare le condizioni di contesto e di convenienza utili a promuovere innovazione e qualità».

La dottrina della non-interferenza dello stato può ispirare un partito liberale (ma non liberal), non può essere messa tra i “valori” di un partito di sinistra (pur anche centrista).

Il confronto con il Pse

Vorrei, per sottolineare la nebbia del Manifesto, citare alcuni passi del programma del Partito socialista europeo (Lisbona 2018): «Sono essenziali autorità pubbliche forti lungo tutta la catena democratica, dai livelli locale, regionale e nazionale, fino al livello di governo europeo. Insieme, preservano il bene pubblico, garantiscono l'interesse comune e promuovono la giustizia e la solidarietà nella società».

I valori sono chiari e lapidari: «Libertà, uguaglianza, solidarietà e giustizia sono i nostri valori fondamentali. ... formano la nostra bussola morale per costruire società progressiste nel mondo di oggi. Si tratta di società in cui gli individui non lottano gli uni contro gli altri, ma lavorano insieme per il bene di tutti». Nel Manifesto del Pd le parole «solidarietà» ed «eguaglianza» compaiono una volta ciascuna all’interno di contesti generici (quel che si chiama burocratese), la parola «libertà» compare nove volte e in contesti molto chiari. Lo sbilanciamento non è un fatto accidentale. L’impressione è che alla base di tutto ci sia una sovrapposizione tra partito e paese.

Un partito schiacciato sul paese

È essenziale ovviamente che un partito pensi in termini di paese poichè aspira a governare. Ma deve sapere di essere una parte, un partito appunto, e quindi che le idee alle quali si ispira non sono ecumeniche ma rappresentative di un orientamento, di una visione di società.

Il Manifesto per essere urbi et orbi diventa un pronunciamento formale che vuol tenere insieme tutto e il suo contrario. Ecco perchè ho usato quegli aggettivi “superficiali”.

Enrico Letta ci ha suggerito di prendere a modello la dichiarazione dei principi del Partito socialista europeo. La struttura stessa è segno di efficacia: punti o propositi elencati. Senza ciceronianismi. La narrativa pesante e oggi davvero illeggibile non serve – ovvero serve a che non serva.

© Riproduzione riservata