È mattina, ti siedi a una scrivania e ti prepari a fare, finalmente, si fa per dire, una cosa che non vuoi fare. Può essere una faccenda di lavoro, un frammento di burocrazia, non importa: è la cosa che non vuoi fare, che hai rimandato, giurando infine che l’avresti fatta proprio ora. L’hai persino scritto sul calendario. Il momento è qui. Si parte.

A questo punto possono succedere tre cose. La prima è che effettivamente ti metti lì e fai quello che devi fare. Di solito, come dicono le persone sagge e pazienti (cioè non tu), «quando inizi poi scopri che fai tutto in un baleno e ti rendi conto che la cosa che non volevi fare non era niente di che». E le persone sagge e pazienti hanno ragione, lo sai bene, ma semplicemente non sono umane: sono robot super intelligenti che vivono fra noi in incognito da millenni. Noi esseri umani non siamo né saggi né pazienti. Mai.

La seconda cosa che può succedere è che resti bloccata e non fai nulla. Guardi il vuoto, disegni dei cerchi su un foglio, magari inizi anche a fare quello che dovresti fare, ma subito vieni distratta da – non so – qualcuno che va in televisione a dire che è colpa delle donne se le stuprano. Roba del genere. Intanto passa il tempo. Forse poi farai quello che devi fare, perché scoprirai che devi rispettare una scadenza, ma tutto si svolgerà a rilento, in una maniera molto inefficiente.

La terza cosa che può succedere è che, pur di non fare quello che devi fare, ti metti a fare altro. Diventi molto attiva. Fai cose che magari non sono le tue preferite, ma che comunque ti fanno meno orrore della cosa che non vuoi fare. Procedi sempre più veloce, entro la fine della mattinata hai cambiato il volto del pianeta Terra e vieni candidata al Nobel per la Pace, però la cosa che non volevi fare non l’hai fatta.

Una questione di produttività 

La produttività è un tema che da sempre mi incuriosisce, perché, al pari del rischio, è un concetto economico che usiamo molto ma che in fondo ci lascia confusi. L’altro giorno qualcuno mi ha girato una collezione di video di macchine agricole contemporanee, riprese mentre svolgono il loro lavoro: dispositivi che raccolgono i pomodori e sono in grado di separare quelli maturi da quelli meno maturi, congegni che estirpano in pochi secondi metri quadrati di carote dal terreno. Tutto molto ipnotico e bello.

Del resto la produttività delle macchine è spesso ipnotica e bella: guardare le macchine che fanno tutto per bene ci fa provare una soddisfazione pari solo all’insoddisfazione che ci provoca la nostra incapacità di combinare alcunché.

Per “produttività” di norma si intende la quantità di output generato a partire da certe quantità di input, nell’unità di tempo. Insomma: quali risultati si ottengono a fronte di certi sforzi e impieghi di risorse, sempre nell’unità di tempo. La questione del tempo è importante, perché lega il concetto di produttività alla risorsa scarsa per eccellenza, e cioè appunto al tempo.

Forse la produttività, per noi umani, è naturalmente ansiogena perché in fondo ci ricorda che la morte incombe. È chiaro che se non facciamo niente prima o poi moriremo e non avremo fatto niente. È importante? Forse no. Però la produttività ci mette di fronte all’abisso. Ma non voglio esagerare. Andiamo avanti.

Un concetto ambiguo

La produttività è il motore della creazione delle cose, è azione, energia, dinamismo. Nella sua versione più semplice ha a che fare con “quanto” produciamo, ma se si vuole essere più sofisticati ha pure a che fare con il “come” e il “perché” produciamo. Anche se mi rendo conto che l’ultima domanda – perché produciamo? - può portarci di nuovo di fronte all’abisso.

E il contrario della produttività cos’è? Dipende. L’opposto di produrre forse è distruggere, e questo sembra dirci qualcosa, ma la distruzione è a sua volta produttiva, nel senso che genera i cocci, il caos. Il contrario della produttività, allora, forse, è fare le cose male, in modo inefficiente e stupido. Fare le cose, sì, ma nel modo peggiore possibile: che se stavamo fermi era meglio.

La produttività, però, è anche specifica: dunque non essere produttivi potrebbe significare non fare una cosa specifica, ma farne molte altre. Oppure l’opposto della produttività potrebbe essere il vagabondare senza scopo: girare per la città come un flâneur. Idea molto cara ai poeti, i quali però ti diranno che in realtà questa improduttività è per loro assai produttiva.  

Quando ci chiediamo quale sia l’opposto di un concetto e scopriamo che non è semplice rispondere, questo ci suggerisce che ci troviamo di fronte a qualcosa di più ambiguo di quanto si creda. Chissà perché non avevamo dubbi.

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